Harry e la sfortuna del numero 2

Adesso che comincia a posarsi la polvere sull’orgia di interviste, documentari, speciali tv che hanno preceduto, accompagnato e seguito la pubblicazione di Spare, si può ragionare su cosa ci consegna l’autobiografia (per mano di terzi) del principe Harry. Il cattivo carattere di William, il precario rapporto con Carlo, le trame dei cortigiani. Più che il libro delle rivelazioni pare il libro delle lamentazioni. William, come gli antenati, è soggetto ad attacchi di rabbia? Ma già lo sappiamo da sua madre Diana, che lo aveva chiamato wombat, come il marsupiale che sembra dolce e quieto e poi aggredisce e azzanna. Carlo è un tipo anaffettivo? E come poteva non esserlo il figlio della regina e del duca di Edimburgo? Quanto a Camilla, la qualifica di «strega cattiva» che Harry le riserva è quella solitamente appioppata nelle favole alle maligne matrigne. Un po’ troppo fanciullesca per un adulto quarantenne. È vero, più che a una famiglia i Windsor in queste pagine somigliano a un covo di vipere. Il che purtroppo si può tristemente dire di milioni di altre famiglie senza corona. E dopo tutto, la principale ragione per cui la monarchia inglese è ancora così popolare è che si tratta di una famiglia, quasi sempre disfunzionale quanto e più di quelle ordinarie. Alla fine delle 540 pagine (ma ne restano in serbo 400, è l’avvertimento vagamente ricattatorio del principe ai famigliari) quel che colpisce è solo la disperata angoscia di Harry per la spiacevole circostanza di essere il «secondo figlio», che in una monarchia non conta nulla: è lo spare, appunto, ovvero un ricambio, una ruota di scorta. Si può rifiutare questo gioco, però lui pretende di modificarlo a suo favore. Il duca di Sussex sembra non capire che se ti porti dietro le spore di un sistema ammuffito, qual è sicuramente la monarchia, non puoi scegliere quali spore conservare e quali scartare. Se ti piacciono la pompa e le uniformi, i patronati benefici e gli onori militari, la deferenza automatica, gli incontri con le cosiddette celebrità, c’è un prezzo da pagare. Se lui non se la sente, liberissimo di emigrare a Montecito. Ma ci eviti per piacere il racconto quotidiano (ben pagato, 100 milioni di dollari per la serie tv, 40 per il libro) delle sue sofferenze nella reggia californiana che divide con Meghan. È del tutto comprensibile che dopo la «fuga» in America i Sussex abbiano bisogno di monetizzare i loro bisticci con la famiglia Windsor, e l’operazione commerciale ha avuto finora pieno successo. Ma che faranno Harry e Meghan da qui a dieci anni? Prima o poi le loro versioni malevole sui parenti reali si esauriranno: anche il cesto della biancheria sporca ha un colmo. Molte di queste storie saranno sottoposte a verifica. Come la faccenda del razzismo: quasi nessuno ha fatto caso che tanto nella docu-serie tv Harry&Meghan quanto nel libro le accuse alla famiglia reale sono scomparse. Al di là del fatto che fossero fasulle o meno, questo proietta la luce del dubbio sulle restanti affermazioni dei Sussex. Al netto della cospicua crescita del conto in banca, è certo che l’immagine di Harry nell’opinione pubblica britannica ne esca fortemente sciupata. Stando ai sondaggi, l’ex beniamino dei sudditi è oggi al punto più basso della sua popolarità, appena attorno al 25 per cento. I suoi fan più tetragoni sostengono che la percentuale coincide con quella dei giovani stufi della monarchia. Può essere. Ma come direbbe Manzoni, ci vuole ben altro che questi «untorelli» per spiantare la Corona. Un’istituzione vecchia mille anni, e che ha resistito all’abdicazione di Edoardo VIII e alla morte della principessa Diana, non ha certo da temere le «rivelazioni» di Harry. Nell’Ottocento, il grande giornalista e costituzionalista Walter Bagehot, scrisse all’apice del regno di Vittoria: «Siamo arrivati a considerare la famiglia reale come la guida della nostra moralità«. Certo è dura darla a bere oggi, con una coppia di adulteri sul trono e il figlio cadetto del re per sua ammissione tutto sesso, alcool e droga finché non ha visto la luce (Meghan). Ma la forza del sistema monarchico sta nel fatto che è immediatamente intelligibile ai sudditi proprio perché tutti siamo cresciuti in una famiglia, e ne comprendiamo forza, difetti e conflitti. Forse è per questo se gli inglesi non diventano repubblicani manco adesso. E nemmeno in un futuro prevedibile.