Il commento

I danni collaterali della guerra

C’è un perdente del conflitto in Ucraina e del confronto tra Stati Uniti e Cina e questo è l’Europa
Alfonso Tuor
25.01.2023 06:00

C’è un perdente della guerra in Ucraina e del confronto tra Stati Uniti e Cina e questo è l’Europa. I «danni collaterali» di questo profondo cambiamento del quadro geopolitico non sono solo le conseguenze a breve scadenza, come l’aumento dei prezzi delle materie prime e soprattutto il fatto che il prezzo del gas è triplicato e che è nettamente superiore a quello degli Stati Uniti, ma anche il futuro del commercio internazionale. Washington ha scelto infatti di rafforzare la sua base industriale nei settori strategici attraverso sussidi notevoli per dimensioni e per l’enfasi posta sul privilegiare l’industria nazionale, controlli sulle esportazioni e sugli investimenti stranieri. L’obiettivo è stato chiaramente enunciato dal responsabile della sicurezza nazionale Jake Sullivan: «Gli Stati Uniti devono mantenere la leadership più ampia possibile nella produzione di semiconduttori (i famosi chips), nell’intelligenza artificiale e nella energia verde e devono anche impedire i progressi in questi campi di Russia e Cina». Il problema è che le misure varate non colpiscono solo Mosca e Pechino, ma anche l’Europa e i Paesi asiatici. Il divieto delle esportazione non riguarda solo i prodotti americani, ma anche quelli dell’Europa, del Giappone e del Sud-Est asiatico che contengono componenti tecnologiche (ad esempio i chips) americane. Il desiderio di rafforzare la base industriale americana si è tradotta in una legge sui semiconduttori che sussidia gli insediamenti negli Stati Uniti di imprese che producono semiconduttori. La legge sulla riduzione dell’inflazione (IRA) prevede aiuti per le industrie impegnate nelle nuove tecnologie energetiche (pannelli solari, ecc.) e nella costruzione di automobili elettriche per 370 miliardi di dollari. Ad esempio, ogni auto elettrica beneficerà di un sussidio di 7.500 dollari per le auto prodotte in America, in Canada e in Messico, che non abbiano componenti o origine dei materiali usati straniere. Quindi ciò non varrà per le automobili europee, giapponesi o della Corea del Sud prodotte negli Stati Uniti, ma che contengono pezzi provenienti dall’estero. 

Queste misure violano le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio che vietano i sussidi pubblici e le clausole che impongono limitazioni sull’origine delle componenti. Non sorprende che i passi di Washington abbiano allarmato i leader europei. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la legge americana «è un killer dell’industria europea». Ma a Bruxelles si sa che non vi è alcuna possibilità di correzione dell’IRA che è già stata approvata dal Congresso americano e quindi ci si sta muovendo verso l’allentamento delle norme sui sussidi industriali in vigore nel mercato unico. Questa risposta è tuttavia osteggiata, poiché si teme che favorisca i Paesi più grandi che hanno lo spazio di manovra di aiutare le loro industrie nazionali. Tutto ciò non conforta l’idea che la globalizzazione è finita, ma che essa continuerà anche se non potrà contare su regole condivise. Infatti il costo di rimpatriare le produzioni dei semiconduttori, dell’energia verde e delle batterie sono enormi. Si stima che costerebbe tra i 3.100 e 4.600 miliardi di dollari, ossia tra il 3,2% e il 4,8% del PIL mondiale. Inoltre, come ha ricordato il taiwanese Morris Chang, fondatore di TSMC il maggiore produttore di semiconduttori del mondo, «il costo di produzione negli Stati Uniti è superiore del 55% di quello a Taiwan». Inoltre si dovrebbero ricreare le linee di approvvigionamento creando doppioni in tutti il mondo. 

Dunque la concretizzazione dei sogni di Washington non è affatto facile, ma è comunque meno difficile di quella europea, già alle prese con aziende che delocalizzano al di là dell’Atlantico per beneficiare dei sussidi e dei costi dell’energia più bassi. Per il fedele alleato europeo degli americani già alle prese con i costi diretti della guerra in Ucraina (aiuti economici e militari) ed indiretti (alti prezzi dell’energia) si aggiungono queste nuove incognite oltre a quelle determinate da un’alta inflazione e da un forte rallentamento dell’economia. Forse per Bruxelles è il momento per cominciare a riflettere ad un avvenire indipendente e non più solo da vassallo degli Stati Uniti.

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