Il commento

I dazi sono negativi per tutti, USA inclusi

Tutta l’economia mondiale è in rallentamento, ma lo sono nettamente anche gli Stati Uniti
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
13.11.2025 06:00

I dazi sono un male per tutti, naturalmente per i Paesi colpiti ma anche per chi li impone, in questo caso gli Stati Uniti. Si sta diffondendo l’idea che per gli USA i dazi varati da Trump non siano un problema. Ma i dati sin qui disponibili raccontano qualcosa di diverso. Sulla crescita economica e sui prezzi alcuni riflessi negativi dei dazi già ci sono. Gli effetti sono influenzati dalla tempistica delle tariffe volute dall’Amministrazione Trump, ma sono rintracciabili. Nei primi tre mesi di quest’anno, prima dell’annuncio di inizio aprile, sono state fatte scorte e lo stesso è accaduto negli intervalli tra i vari altri annunci. L'impatto negativo è stato così diluito. Ma se i dazi rimarranno a livelli alti, l’anno prossimo l’effetto sarà maggiore. E intanto qualcosa già si vede.

Gli Stati Uniti utilizzano i loro metodi di calcolo sulla crescita, che non sono però quelli adottati dalle maggiori istituzioni economiche, che riguardano tutti i Paesi. I dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) indicano che quest’anno il Prodotto interno lordo USA è sceso dello 0,1% nel primo trimestre ed è salito dello 0,8% nel secondo, in rapporto ai tre mesi precedenti. Se si ragiona rispetto agli stessi periodi dell’anno scorso, cosa più interessante perché si delinea meglio il trend, il PIL USA è salito del 2% nel primo trimestre e del 2,1% nel secondo. Nell’ultimo trimestre del 2024 il tasso americano di crescita su base annua era del 3,2%. A fine settembre la stessa OCSE ha reso note le sue previsioni per gli anni interi: dopo il 2,8% del 2024, gli USA dovrebbero crescere dell’1,8% nel 2025 e dell’1,5% nel 2026. Tutta l’economia mondiale è in rallentamento, ma lo sono nettamente anche gli Stati Uniti. Ci sono più motivi per i colpi di freno, ma è difficile pensare che i dazi non c’entrino niente. Vedremo i prossimi dati, ma per ora è così.

Secondo gli uffici di statistica USA, l’inflazione americana nel mese di settembre di quest’anno è stata del 3%. In aprile era al 2,3%, in maggio al 2,4%, in giugno e luglio al 2,7%, in agosto al 2,9%. La tendenza a un graduale aumento è nelle cifre. Ciò non può esser dovuto alla sola crescita economica, che come si è visto è in rallentamento. Anche qui, è molto difficile pensare che i dazi non c’entrino. La lentezza con cui la Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse è legata anche a questo, cioè a un‘inflazione che non è tornata all’obiettivo del 2% di media annua e che è invece risalita. Trump attacca duramente la Fed perché vorrebbe tassi molto più bassi, per sostenere la crescita. Ma nel fare questo salta a piedi pari il capitolo della lotta contro l’inflazione, cioè contro quell’incremento dei prezzi che con ogni probabilità è alimentato anche dai dazi, oltre che dalla debolezza del dollaro.

Nel frattempo, gli USA per il loro doppio deficit – nei conti pubblici e nei commerci- non hanno per quel che si sa avuto miglioramenti, anzi. Il meccanismo dello shutdown, cioè del blocco di una parte dei servizi pubblici legato ai dissensi politici sul tetto al debito, ora dovrebbe rientrare e si attendono dunque nuovi dati. Sulla base delle cifre sin qui disponibili, deficit e debito pubblici restano molto allarmanti. Quanto al deficit commerciale, alla cui riduzione secondo Trump dovrebbero contribuire fortemente appunto i dazi, le cifre degli uffici governativi USA non indicano una diminuzione, al contrario: nel periodo gennaio- luglio di quest’anno per l’aggregato di merci e servizi era a 654 miliardi di dollari, contro i 499 miliardi di un anno prima; per le sole merci, che sono naturalmente la voce più importante, nel periodo gennaio-agosto il disavanzo era a 925 miliardi di dollari, contro i 778 miliardi di dodici mesi prima. Gli Stati Uniti restano la maggior economia al mondo, certo. Ma per ora sono lontani dai loro momenti migliori.

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