Il commento

I maestri dell’intolleranza

Le guerre sono anche un’espressione di intolleranza, lo sono fanatismi e inquisizioni religiose, ostracismi e carceri di dittature – Trust e cartelli esprimono intolleranza nei confronti del libero mercato
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
24.05.2024 06:00

L’intolleranza è vecchia quanto l’umanità. Le guerre sono anche un’espressione di intolleranza, lo sono fanatismi e inquisizioni religiose, ostracismi e carceri di dittature. Trust e cartelli esprimono intolleranza nei confronti del libero mercato.

Dei nostri tempi preoccupa comunque una recrudescenza e lo sviluppo di nuove forme di intolleranza civile. Manifestazioni che si concludono con vetrine infrante, auto incendiate. L’incollarsi sulle strade per impedire il traffico. Il ripetuto incendio notturno di vetture in Francia si accompagna alla violenza di allievi riottosi nei confronti di docenti che arriva all’orribile fatto di un professore decapitato da un allievo islamico. Samara viene massacrata di botte dalle e dai compagni perché si veste all’europea. Shamsedine, giovane magrebino punito per aver osato parlare alla sorella di uno del gruppo, è morto con il cranio fracassato dai suoi compagni. Succede a Parigi nel 2024. Anche in altre nazioni europee non mancano esempi di tracotanza e intimidazione da parte di allievi che passano a vie di fatto con i docenti. Esponenziale incremento di reati in Germania con numerosi stupri ma pure in Svizzera lo sviluppo preoccupa e spesso questi reati esprimono intolleranza verso le regole della nostra società. Nel preoccupante aumento dei reati di minorenni da noi in testa alla classifica vi sono furti nei negozi e supermercati: intolleranza verso la proprietà.

Ma a fianco di ciò vi è la preoccupante intolleranza nel mondo del pensiero e delle relative espressioni.

Sappiamo dell’atmosfera in molte università americane, ma anche, seppure più sfumata, in quelle europee, dove si mette a tacere chi non la pensa «woke», sostiene la diversità genetica, non condivide la colpevolizzazione assoluta del bianco, eterosessuale che per definizione è sfruttatore, schiavista, colonialista. L’antisemitismo di giovani universitari attivisti che bloccano l’insegnamento manifestando per una Palestina dal mare al fiume Giordano, cancellando Israele, raggela e fa riaffiorare tragici ricordi. L’intolleranza si esprime anche demolendo o sfregiando monumenti, quali quelli di Cristoforo Colombo, colpevole di aver scoperto l’America, cambiando testi dei grandi capolavori che hanno espresso la cultura del passato. Dante è omofobo e si corregge il testo della Divina Commedia. Si correggono pure i testi di racconti per bambini per cancellare termini che alcuni si arrogano il diritto di ritenere inadeguati.

La casistica è talmente ampia che si potrebbe continuare per pagine.

A questo punto è ovvio che ci si chieda: questa intolleranza nasce e si sviluppa spontaneamente, è espressione di una società che evolve o è la conseguenza voluta di un disegno ideologico, della volontà di demolire, rivoluzionare e sostituire la struttura della società democratica sviluppatasi nel dopoguerra?

Risposta facile visto che numerosi sono i testi che direttamente o indirettamente predicano ed elogiano l’intolleranza nei confronti della società (è ancora possibile chiamarla borghese?) che abbiamo ereditato e che correnti di pensiero intendono sovvertire.

Uno dei più brillanti intellettuali della sinistra è Herbert Marcuse. Torna nel dopoguerra dall’esilio, per ragioni razziali, negli USA ed è alla testa con Horkheimer, Adorno e Fromm della Scuola di Francoforte. Ispira i movimenti del ’68.

Va riconosciuto alla sinistra un interesse per la cultura che l’ha portata a poter disporre e sostenere numerosi intellettuali impegnati a diffonderne e difenderne le idee in una concreta volontà di attuazione dell’egemonia culturale gramsciana ciò che, nel giudizio di chi la pensa come me, ne aumenta la pericolosità, le idee scavano sempre un solco. Esemplare per comprendere il progetto politico di queste nuove sinistre è un saggio di Marcuse degli anni ’60 dal titolo «Tolleranza repressiva». Afferma che la realizzazione della vera tolleranza esige l’intolleranza nei confronti delle pratiche e opinioni oggi dominanti, contrabbandate per tolleranza da chi detiene il potere.

I punti cardine del suo pensiero potremmo riassumerli così:

  • La tolleranza come intesa nel regime liberal-democratico non è che un mezzo per mantenere il potere soffocando la parte oppressa (le classi deboli) della società.
  • A queste forme di tolleranza, che fanno gli interessi dei potenti, bisogna opporsi con l’intolleranza, con ogni mezzo che contrasti l’oppressione in atto con un’intolleranza che permetta alla società di non essere schiava delle istituzioni.
  • Non bisogna cadere nella trappola di pseudo forme di libera espressione con dibattiti, riunioni, conferenze con i difensori del sistema. Strumenti che servono al potere per imporre la propria intolleranza. Il rifiuto al dibattito con ed al diritto di parola ai rappresentanti dell’odierno sistema è doveroso per combattere l’oppressione.

Alle teorie e tesi di Marcuse e altri intellettuali della sinistra, la nostra società, messa in stato di accusa, non sa rispondere. Commette l’errore di giudicare (e spesso accettare per blandire) singole forme di intolleranza come fatti individuali e irrequietezze della gioventù e non quali tessere di un abile mosaico. Timorosa di non apparire sufficientemente intelligente, progressista e moderna evita o comunque non sostiene con decisione il doveroso scontro culturale, che determinerà le sorti delle future generazioni.

On n’est jamais trahi que par les siens.