I partiti di destra

È difficile parlare di politica europea senza commentare il successo elettorale dei partiti definiti di destra.
In Germania l’AfD è nei sondaggi il primo partito al 26% superando la CDU/CSU. In Francia l’RN della Lepen è pure il primo partito con 9,5 milioni di elettori (il 29,5%) nelle ultime legislative. In Inghilterra Farage (Reform UK) nelle recenti elezioni comunali è in testa con un 30% di voti. In Italia Fratelli d’Italia è al governo alleato con Forza Italia e Lega. Pure in Olanda è al governo il PVV di Geert Wilders con il 23,3% dei voti. In Austria la FPÖ di Kickl è la più votata con 1.413.000 voti (28,85%). In Svezia guadagnano seggi i Democratici svedesi e sono il secondo partito, in Norvegia progredisce il Progress Party, in Spagna Vox raggiunge il 12,4%. In Romania la destra ha vinto le recenti elezioni.
Il fenomeno non può venir ignorato o banalizzato. Neppure risolto considerando milioni di elettori pericolosi «fascisti» o «nazisti». Colpisce come, sia pure a livelli diversi, il progresso di questi movimenti riguardi gran parte delle nazioni europee. Ci si deve chiedere quali sono le radici vere di un tale impressionante schieramento di popolo.
Parliamo di decine di milioni di cittadini che protestano civilmente e con il voto critico nei confronti dei propri governi testimoniano il fallimento delle politiche degli ultimi decenni. Le forze al governo cercano di arroccarsi al potere. I modi sono diversi: dall’accusa, per la presenza di qualche fanatico imbecille, di fascismo o nazismo al tentativo di togliere a persone o movimenti il diritto di partecipare alle elezioni, alla formazione di coalizioni innaturali pur di non cedere potere ai nuovi arrivati, considerati indegni a partecipare alla gestione del Paese. Che simili reazioni siano le più atte per affrontare un problema di tali dimensioni è lecito dubitare.
Più che partiti di destra li chiamerei partiti di protesta, protesta nei confronti di una politica e dei relativi esponenti di un centro sinistra dai risultati deludenti. La critica maggiore e condivisa è quella relativa alle fallimentari politiche di immigrazione.
Con atteggiamenti di (talvolta pseudo) irriflessiva generosità o per sostenere una irrealizzabile ideologica multietnicità vengono trascurate le conseguenze per i propri cittadini. Il quadro di molte città con preoccupanti espressioni di criminalità, dalla Svezia passando per la Germania, la Francia e anche l’Italia, non sono che i maggiori esempi del fallimento. È purtroppo cronaca di tutti i giorni con fatti di sangue ed a soffrire di queste situazioni sono le classi meno agiate che convivono in quartieri diventati infrequentabili.
Vi è pure, in questi partiti, l’intento «di contrastare l’orientamento progressista che negli ultimi due/tre decenni ha radicalmente mutato il volto ideologico culturale della società» (Galli della Loggia), di opporsi a forme di intolleranza discriminatrice. La politica degli ultimi decenni volta a smantellare la struttura sociale delle famiglie, relativa alla sessualità, alla genetica, alla lingua e alle forme di scrittura, sostenuta dal progressismo di ambienti acculturati del ceto medio e medio alto, il wokismo, il multiculturalismo si scontrano con valori e sensibilità dei ceti popolari. Il tutto tramite più Stato, che provoca d’altro canto dipendenza dagli elettori, che vengono imboniti con offerte - talvolta pericolose, costose e poco utili - dai partiti politici, senza eccezione. Lo statalismo produce automaticamente sviluppo della burocrazia, la quale costa e si vede realizzata con una regolamentazione minuta ed ossessiva dell’attività dei cittadini. L’UE, negli ultimi vent’anni, ha emesso in media un atto legislativo ogni giorno.
Stati con maggiori compiti, maggiore burocrazia esigono maggiori finanziamenti e quindi maggiori imposte e tasse, che gravano sulla società, e quando la fonte fiscale si esaurisce si ricorre ai debiti. L’UE ha fissato il limite del debito pubblico al 60% del PIL. L’Italia è al 135%, la Francia al 111%, la Spagna al 108%.
La modestia generalizzata della classe politica non ha permesso di resistere a spinte di progressismo della nuova sinistra, ci si è accomodati nell’intento illusorio di mantenere il favore degli elettori. Parole tante, fatti pochi. Nel 2000 a Lisbona l’UE ha deliberato politiche che entro 10 anni avrebbero dovuto fare dell’UE la maggior forza mondiale... Il penoso risultato è sotto gli occhi di tutti.
Non parliamo poi dell’insipienza delle politiche relative allo sviluppo economico dei singoli Paesi, la stessa Merkel con il retrogrado furore antiatomico ne è stato un esempio.
Ecco le ragioni vere della protesta e quindi le ragioni del successo di chi, bene o male, questa protesta rappresenta. Sono molti milioni di cittadini, abbiamo il dovere civico di ricuperarli e non vi riusciremo escludendoli dal quadro politico, ma cercando di riammetterli al dibattito democratico, portandoli a smussare le provocazioni, corresponsabilizzandoli e prendendo atto dei fallimenti passati. Partecipazione al potere vuol dire responsabilità e chi delude viene punito come la destra finlandese al governo, che nelle recenti elezioni regionali è scesa dal 20% al 7,6%. Questa è democrazia.

