I sei arresti raccontati da una cimice

Emanuele Gagliardi
Emanuele Gagliardi
24.10.2015 06:00

di EMANUELE GAGLIARDI - Una manciata di secondi, in diretta, per raccontare l'arresto di sei rapinatori in procinto di entrare in azione ed il brillante risultato di un mese di indagini, di una fruttuosa collaborazione transfrontaliera tra polizia svizzera ed italiana, di pedinamenti accurati, di interessanti intercettazioni. Per immortalare, insomma, un successo investigativo. A parlare (la registrazione è stata messa sulla pagina Facebook della Questura di Milano) è una minuscola cimice, una delle microspie piazzate dagli agenti della squadra mobile milanese all'interno del furgone in cui si trovavano i malviventi bloccati a Castelrotto. Il gruppo, secondo gli investigatori italiani (che hanno chiesto la collaborazione dei colleghi svizzeri), progettava in Ticino un assalto milionario ad un furgone portavalori. Le indagini continuano. La trasferta dei mancati rapinatori è finita in una manciata di secondi, da quando sono entrate in azione le teste di cuoio ticinesi. La cimice parla, diversi i rumori di sottofondo: si sentono varie voci. Uno degli arrestati dice: «Madonna mia, ci hanno fottuti». Qualcuno sembra invitare alla calma. Poi si odono le esplosioni dei flashbang per stordire e disorientare chi si trovava dentro il veicolo. A questo punto, a farla da padroni, sono i poliziotti che impartiscono ordini secchi: «Faccia a terra. Stai fermo. Non ti muovere. Mettiti giù. Allarga le gambe. Guarda di là, guarda di là». Le frasi pronunciate degli agenti sembrano colpi di pistola: brevi e secche. Par di percepire, pronunciata in modo flebile, una parola, non dai poliziotti: «Fratelli...», cui risponde un agente in modo deciso. Cinema e televisione ci hanno abituati ad assistere a programmi ad alta tensione, tra cui film e telefilm polizieschi, che a volte catturano l'attenzione degli amanti di questo particolare genere e fanno salire l'adrenalina. Scene che ci inchiodano alla poltrona. Finito il programma, segue qualche battuta su quanto visto e, non di rado, forse per scaricare la tensione accumulata, ci si ricorda che dopotutto «era solo un film; però quella scena era davvero realistica. Sembrava tutto vero». Quindi si leggono (o si ascoltano) notizie di cronaca nera, relative a fatti accaduti realmente che ci colpiscono e fanno nascere interrogativi; domande relative ai momenti frenetici e difficili che hanno vissuto alcuni protagonisti (il riferimento è sempre rivolto, comunque, agli uomini di legge ed alle vittime) di quegli episodi: rapine, sparatorie, arresti concitati. «Chissà quale sarà stato lo stato d'animo di quei poliziotti al momento di entrare in azione», ci domandiamo spesso. Subito, se si è in compagnia, non manca qualcuno a noi vicino che interviene dicendo: «Sì, ma è il loro lavoro. Sono lì per quello». A questo punto, c'è chi scuote la testa, guardando (con un filo di commiserazione) chi ha pronunciato questa frase, quasi per dire: «Certo, è il loro lavoro. Ma prova tu ad andare lì ed a entrare in azione». Anche chi, per lavoro (il giornalista), racconta questi avvenimenti, difficilmente, a meno di coincidenze eccezionali, si trova, di solito, in luoghi dove scattano operazioni anticrimine complicate, dove le teste di cuoio agiscono per evitare disegni criminosi. Al massimo, si partecipa a qualche esercitazione della polizia. Fa una certa impressione, perciò, andare sul sito della Questura di Milano e dare il via all'audio delle fasi finali della brillante operazione condotta dai gruppi speciali della polizia cantonale a Castelrotto. Perché si sentono i momenti salienti dell'intervento della cantonale, al quale hanno collaborato pure le guardie di confine della Regione IV. I giornalisti ascoltano, abitualmente, i resoconti di queste azioni di polizia nel corso di conferenze stampa. I blitz sono sempre pianificati, preparati nei dettagli, ma restano pericolosi. I risultati non sono mai scontati, possono essere densi di incognite. Il sangue freddo e la lucidità sono determinanti. Ci raccontava, anni fa, un poliziotto italiano, che durante un'operazione per arrestare alcuni banditi che festeggiavano in una saletta di un locale notturno del Comasco i loro «successi», un giovane agente (che partecipava all'intervento) con il mitra puntato intimava ad un sospetto di alzare le mani. Tutti e due erano in penombra. Il mio collega, mi diceva l'amico poliziotto, urlava a quella persona di alzare tutte e due le mani. L'altro, con la voce tremante, ripeteva: «Non posso». Intervenni io, concluse il mio interlocutore, e dissi al giovane agente, tranquillizzandolo: «Non vedi che ha un braccio solo?».