Il biglietto antipatico
Come se non fossimo già confrontanti con sufficienti questioni capaci di polarizzare il Paese, assistiamo con un pizzico di incredulità allo scontro che si profila tra la politica e il calcio per la questione dei biglietti nominali, che la Swiss Football League (SFL) cerca di evitare con tutte le sue forze. Al contrario, la Conferenza delle direttrici e dei direttori dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia (CDDGP), e più in generale la classe politica nazionale (recentemente si è occupata della questione la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati), si dice pronta a introdurre il biglietto nominale per porre fine agli episodi di violenza legati alle partite di calcio.
Come spesso accade, la ragione non sta tutta da una parte o dall’altra, ma ci pare corretto partire da una considerazione: quando a margine delle manifestazioni sportive succedono questi incidenti tocca allo Stato, garante dell’ordine e della sicurezza, intervenire con le sue forze. E questi interventi generano costi importanti (con le casse che piangono e richieste di aiuto esponenziali) assunti dalla collettività. La SFL sottolinea con forza che quasi sempre gli incidenti accadono fuori dagli stadi: non si può darle torto, ma non di meno occorre riconoscere che è la partita il detonatore capace di innescare la violenza.
Le motivazioni addotte dalle autorità calcistiche per opporsi all’introduzione dei biglietti nominali ci sembrano poi davvero inconsistenti. Partiamo dai costi che la procedura genererebbe: ve ne saranno, ma il dorato mondo del pallone, che nella maggior parte dei casi in Svizzera sfrutta già sinergie a tutto suo vantaggio con gli investimenti pubblici in materia di stadi e infrastrutture, non deve piangere miseria. Rinunci, semplicemente, a qualche giocatore straniero delle sue rose ipertrofiche, economizzi dando spazio ai talenti locali (qualcuno ha contato quanti giocatori ticinesi vestono la maglia del Lugano o del Bellinzona in questo campionato?) e troverà i soldi per un investimento che avrà il pregio, se non altro, di permettere l’identificazione degli appassionati rispettosi delle regole e di metterli al riparo da eventuali provvedimenti (chiusure delle tribune, restrizioni di viaggio per i tifosi) che li penalizzerebbero anche se incolpevoli.
Ci sarebbero tempi lunghi per accedere a spalti e tribune? Ridicolo. In Inghilterra funziona così da anni e senza code, in Italia (dove addirittura si sta pensando di fare un ulteriore passo, introducendo il riconoscimento facciale per l’accesso allo stadio) stessa cosa. La SFL ha parlato anche di protezione dei dati, e francamente è un’altra obiezione risibile, soprattutto se si pensa che viviamo in un mondo digitalizzato, dove ogni clic o ogni accesso sullo smartphone genera una miriade di informazioni sfruttate da chi ha progettato le app che utilizziamo. Se già non esiste, non sarà un problema adottare una legge che chiarisca i diritti del tifoso. Quel tifoso che la SFL vorrebbe proteggere e coccolare, sicché arriva al punto di affermare che l’introduzione del biglietto nominale «scatenerebbe dure proteste da parte dei fans» delle varie squadre. A parte il fatto che la teoria è tutta da dimostrare, potremmo rispondere con un «chissenefrega». Se vuoi venire allo stadio rispetti le regole e ti adatti, altrimenti puoi comprarti la partita e guardarla in tivù a casa tua.
Anche se la SFL cerca di minimizzare il fenomeno della violenza dentro e fuori gli stadi, fornendo statistiche che dimostrano come questi episodi siano in calo, minimizzare il problema non serve. Forse sarebbe invece il caso che i club monitorassero meglio i gruppi del tifo organizzato, senza cedere ai ricatti e dialogando con loro, ma con polso fermo.