Il capitolo demografia e la crescita economica
Negli ultimi anni si è allargata la discussione sull’abbassamento dei tassi di natalità e sulle implicazioni che ciò può avere su diversi versanti, compreso quello economico. Si tratta di una discussione che può essere utile, a patto però che venga fatta chiarezza su alcuni presupposti fondamentali. Anzitutto, può apparire banale ma non lo è se si vuole dare un quadro, occorre ricordare sempre che la minore natalità riguarda alcune parti e non l’intero globo, tanto è vero che la popolazione mondiale secondo le stime prevalenti è attualmente di circa 8 miliardi di persone, mentre era di circa 6 miliardi venticinque anni fa.
Detto questo, occorre anche notare che le proiezioni sui futuri sviluppi demografici sono particolarmente difficili. Si possono elaborare cifre sulla base di quello che si vede o si prevede, ma chi veramente può dire quanti figli si faranno in questo o in quel Paese? Fortunatamente, è molto complicato fare queste previsioni. Diciamo fortunatamente, perché mettere al mondo è una cosa molto bella e chiaramente necessaria, che però deve coesistere con un sistema di libertà. Sono i regimi a dettare le regole su quanti figli si devono fare o non fare, le società libere e democratiche sono naturalmente favorevoli alla natalità ma non impongono ai cittadini scelte in questo campo, né direttamente né indirettamente.
Andando al versante propriamente economico, va detto che occorre evitare posizioni estreme, in questo terreno ancor più che in altri. Se da una parte non bisogna essere indifferenti al tema, dall’altra appare fuori luogo esagerare con gli allarmi. Se la crescita economica si giocasse solo sul numero di abitanti, i Paesi più popolosi dovrebbero essere in ogni caso i più prosperi. Ma spesso non è così, basta guardare la classifica mondiale delle economie. Dunque non è questa la chiave, senza nulla togliere al fatto che nuove vite sono un dono, da ogni punto di vista.
Occorre anche sfatare la leggenda che indica un inevitabile impoverimento dei Paesi con la maggior percentuale di anziani. A parte il fatto che ovviamente anche la vita di quest’ultimi ha valore, questa percentuale cresce quando, di nuovo fortunatamente, il benessere non è ristretto e le cure sanitarie e sociali si ampliano. Ma non è detto che gli anziani frenino la crescita economica, al contrario spesso oggi consumano e investono più di quanto si facesse in altri tempi. Senza contare poi che una parte delle risorse economiche anche degli anziani in vita viene trasferita in molti casi e in vario modo a figli e nipoti, oggi più che in altre epoche.
Qui si arriva fatalmente anche al capitolo pensionistico. È chiaro che un innalzamento della speranza media di vita porta con sé anche la necessità di un ribilanciamento dei sistemi pensionistici. Si poteva prevedere facilmente già molto tempo fa, ma il terreno è difficile e in molti casi si è preferito lasciar correre il fiume, rinviando le scelte. Tuttavia ora la soluzione non è spingere solo sul tasto del tasso di natalità. È ormai evidente che le età di pensionamento e i meccanismi delle prestazioni hanno bisogno di essere ritoccati, in parte sta già accadendo in molti Paesi e in parte accadrà ancora in futuro. Si tratta di operazioni ampie e delicate, che però potranno almeno avere un contributo dal fatto che molti anziani, grazie anche alla maggior qualità della vita, intendono lavorare ancora, magari con tempi e modi diversi e da loro stabiliti.
Tornando al capitolo complessivo dei tassi di natalità, è sbagliato dunque fare un discorso generalizzato. Ci sono Paesi in cui la popolazione aumenta, altri in cui resta allo stesso livello, altri in cui diminuisce. Bisogna sempre valutare caso per caso. Tenendo presente, parlando ancora di economia, che è riduttivo un tema di mero ampliamento del mercato interno. Se quest’ultimo ha una sua ampiezza bene, ma la crescita economica può arrivare anche da un aumento delle esportazioni di beni e servizi, come d’altronde in molti casi già avviene. Rilevante è tenere ad un buon livello la produttività, il che non significa maggior sfruttamento bensì qualità del lavoro e innovazione nei processi e nei prodotti. Anche i flussi di immigrazione, che nei Paesi più sviluppati ci sono da tempo e che con ogni probabilità continueranno ad essere una necessità per una parte della forza lavoro, andranno sempre più gestiti tenendo presente il quadro demografico di ogni Paese o area. Non si tratta di sostituire la forza lavoro locale, si tratta di valutare con equilibrio le esigenze economiche all’interno di società libere e democratiche.