Il contante come cura dell'ansia per il futuro
Il futuro è incerto per definizione. Ogni azione umana, in qualsiasi ambito, non ha mai il 100 percento di probabilità che vada nella direzione auspicata da chi l’ha messa in atto. Si possono comprendere le ragioni di una guerra – sempre che ve ne siano di razionali e giuste – ma non si possono conoscere gli esiti e gli sconvolgimenti che da una guerra derivano. Vale per il conflitto russo-ucraino, per quello mediorientale, le tensioni sino-taiwanesi e in generale per tutte le attuali crisi in giro per il mondo.
La situazione di incertezza vale anche nel campo delle scelte economiche o di investimento. Nella migliore delle ipotesi, con tutto il rispetto che chi della previsione ne ha fatto un mestiere, politologi, analisti finanziari e meteorologi compresi, ci si muove in un cono di probabilità; tra due limiti di ciò che è più o meno possibile, non di cosa è certo. È così anche per le previsioni economiche che nelle prossime settimane gli istituti specializzati diffonderanno a mani basse: al massimo daranno delle indicazioni sulla base di quello che è successo nel passato basate sul fatto che i cicli economici di breve, medio e lungo termine tendono a ripetersi nello stesso modo, fatti salvi shock esterni, interni e ovviamente tenendo conto del progresso tecnologico che fa deviare da un determinato percorso.
C’è però qualcosa che calma le nostre inquietudini, per dirla con le parole dell’economista britannico John Maynard Keynes spesso mal interpretato sia da destra, sia da sinistra. Quel qualcosa è la moneta. Scriveva nella sua opera più nota – Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta – «per motivi in parte ragionevoli, in parte istintivi, il nostro desiderio di tenere moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e nelle nostre convenzioni sul futuro. Sebbene questo nostro atteggiamento verso la moneta sia esso stesso convenzionale o istintivo, esso opera, per così dire, a un livello più profondo delle nostre motivazioni. Esso subentra nei momenti in cui le più superficiali, instabili convenzioni si sono indebolite. Il possesso della moneta calma la nostra inquietudine e il premio (l’interesse, ndr) che noi pretendiamo per dividerci da essa è la misura dell’intensità della nostra inquietudine».
Per John Maynard Keynes, in pratica, la moneta ha un ruolo centrale nell’economia, influenzando non solo il livello generale dei prezzi, ma anche il reddito, la produzione e l’occupazione. La sua visione sulla moneta si discosta dalle teorie economiche classiche, dove la moneta era considerata principalmente un mezzo di scambio neutrale. Keynes, invece, attribuisce alla moneta un ruolo attivo, legato alle decisioni di consumo, risparmio e investimento. Quando le banche centrali aumentano o abbassano i tassi d’interesse non fanno altro che diminuire o accrescere la quantità di moneta e di conseguenza influenzano il desiderio o meno di detenere liquidità sotto qualsiasi forma: contanti o depositi bancari.
Nei giorni scorsi sono stati pubblicati i risultati di due distinti sondaggi sull’uso del contante in Svizzera: uno da parte della società internazionale di ricerca demoscopica Marketagent focalizzato sui consumatori e l’altro, della Banca nazionale svizzera (BNS), concentrato sulle imprese e sull’accettazione proprio di banconote e monete da parte loro. Ebbene, sono emerse due posizioni apparentemente in contraddizione. Per le imprese, stando all’inchiesta della BNS, il contante è il mezzo di pagamento più accettato. Ben il 98% delle aziende interpellate (dalla grande distribuzione, fino ai dentisti e i parrucchieri) lo accettano. Nei motivi per la sua accettazione hanno indicato il fatto che la clientela desidera utilizzarlo, che è a prova di crisi e che costituisce un’alternativa conveniente agli altri strumenti. C’è però chi vorrebbe limitarne l’uso, come le aziende di trasporto, per ragioni eminentemente di costi e pratiche: la stampa, la logistica e i servizi bancari legati al contante sono giudicati troppo cari.
Tra gli svizzeri la modalità di pagamento digitale (carte, e-banking, applicazioni eccetera) si sta imponendo sempre di più e vince 62 a 38 su banconote e monete fisiche. Ma il contante è ritenuto simpatico dall’85% degli interpellati. I motivi? È anonimo (61%), ha tradizione (61%), dà la sensazione di possedere qualcosa di afferrabile (51%), è pratico, rapido e poco complicato (51%) e, «last but not least», dà la sensazione di indipendenza (46%). Ecco che ritorna il keynesiano «rimedio contro l’inquietudine». Insomma, il biglietto da mille franchi come la coperta di Linus.