Il commento

Il «Global South» e lo scontro di civiltà

Quando cede il fronte interno si perdono le guerre
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
09.08.2024 06:00

Nei media, nei dibattiti recentemente è apparsa un’espressione di nuovo conio: il «Sud globale». Ricorre quando si discute sulla realtà geostrategica odierna, l’articolazione della quale è ragione di preoccupazione per la presenza di istanze e movimenti che avversano i canoni della civiltà occidentale, la nostra. L’Europa quale espressione di questa civiltà è oggi minacciata dall’Est.

La Russia di Putin, uno Stato autocratico, non privo di qualche retaggio comunista, è sostanzialmente intenta a cercare di nuovamente realizzare il sogno dello «zarismo», tornare ai successi di Pietro il Grande e Caterina di Russia. Non tollera una Ucraina democratica e membro di un’UE che è, sia pure con qualche debolezza e cedimento, l’espressione della civiltà occidentale in urto con lo zarismo belligerante e espansionista. La dirigenza russa è preoccupata per la vicina presenza della NATO, che vede quale minaccia e ostacolo. Preoccupazione non esente da qualche fondamento. La parola è già passata alle armi con una guerra in atto da più di due anni.

Su un altro fronte vi è un Iran che dal canto suo rappresenta e vuole l’affermazione dello Stato teocratico del ramo sciita dell’islam. Sua è la regia della guerra contro Israele e delle belligeranze degli Houti nel Mar Rosso volte a danneggiare i traffici dell’Occidente. È presente nel Libano con gli Hezbollah e pure influente con gruppi armati in un Iraq disastrato e in Siria. Le sue aspirazioni per il potere atomico sono in progressione. Dietro un Iran che conduce una lotta di civiltà e di religione medievale con armi super moderne vi è quello che è definito come il «Sud globale», dai confini imprecisi e di una configurazione fluida. Vi sono i BRICS (Brasile, Russia, India e Cina, Sudafrica), con in più l’Egitto, ai quali si aggiungono Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, spinti prevalentemente da ragioni commerciali, e infine altre nazioni minori del Sud. Sono tutte motivate e unite sostanzialmente dal desiderio di liberarsi dal potere e dalle imposizioni degli Stati Uniti dei quali non tollerano più l’egemonia. L’antiamericanismo, che contesta l’espressione di punta odierna della nostra civiltà, è il collante che li unisce anche se le aspirazioni e la virulenza sono spesso diverse. Antiamericanismo non privo di qualche fondamento, specie se si considerano i pesanti errori della politica estera USA, dovuti alla convinzione di poter esportare la democrazia con i dollari e le forze armate. Bush figlio ha rovinato l’Iraq con la seconda guerra in quel Paese. Obama ha commesso almeno tre pesanti errori. La guerra in Libano, il non mantenimento della famosa linea rossa in Siria, con la conseguente pesante presenza russa, il discorso all’Università del Cairo che ha fomentato la primavera araba. Conseguenza: Iraq e Libia disastrati, Siria sempre in mano a Bashar al-Assad dopo almeno 350.000 morti e l’intervento russo, la primavera araba fallita con uno strascico di delusioni e rancori.

Da aggiungere i sogni di un Erdogan, che non vanno dimenticati perché si sente erede del passato potente impero ottomano, come pure la sua influenza sullo scacchiere mediorientale e i giochi di equilibrio con la Russia nonostante la sua partecipazione alla NATO. Nel Global South Arabia Saudita e Emirati hanno una posizione particolare e potrebbero operare quale importante fattore d’equilibrio. Hanno interesse a giocare un ruolo, grazie ai loro enormi mezzi finanziari, nello sviluppo tecnologico del futuro, ciò che farebbe di loro degli attori nella modernità. Abu Dhabi investe massicciamente nell’AI, Dubai è ormai affermato come centro di scambi d’affari, quale importante porto per i traffici del Medio Oriente e quale plaque tournante per i traffici aerei. L’Arabia Saudita sta costruendo una città modello e futuristica (The Line) lunga 170 km e larga solo 200 metri completamente pedonale. Gli evidenti intelligenti interessi economici di questi Stati proiettati verso il futuro avranno la meglio sul condizionamento religioso e le influenze degli alleati? Vi è poi lo scontro tra la Cina e gli USA, scontro economico ma anche conflitto per l’egemonia nel mondo asiatico. La tensione per Taiwan preoccupa anche se gli enormi costi per l’invasione dell’isola dovrebbero indurre i cinesi a cercare qualche soluzione «simil Hong Kong».

Ovvi gli interessi strategici e militari di una Cina che vuol operare in modo influente nel gruppo del «Sud globale». Che questa parte del mondo voglia arricchirsi per migliorare le condizioni dei propri cittadini è legittimo, addirittura auspicabile, ciò che preoccupa è l’accompagnare le richieste di legittime evoluzioni con uno scontro di civiltà e di comportamenti, con un rapporto conflittuale e di urto frontale tra i modi di vivere, basato essenzialmente sull’avversione per i comportamenti altrui. Purtroppo questo scontro esistenziale trova un Occidente e in particolare i due massimi rappresentanti della sua cultura, Europa e America, indebolito e fiaccato dalla pesante presenza di un fronte interno che ne contesta storia e valori. Quando cede il fronte interno si perdono le guerre.