Il male oscuro di una mente criminale

di GIOVANNI GALLI - «Se in Svizzera ci fosse la pena di morte la chiederei» aveva detto il procuratore pubblico vallesano al processo contro «il sadico di Romont», al secolo Michel Peiry, condannato all'ergastolo nel 1989 per quattro omicidi (fra le sue vittime anche un giovane ticinese) e due tentati omicidi. Quasi trent'anni dopo la pena capitale è stata invocata dal sindaco di Rupperswil e, idealmente, anche da molti semplici cittadini colpiti dalla glaciale efferatezza con cui un uomo incensurato e apparentemente normale ha ucciso quattro persone, dopo averle sequestrate ed aver abusato sessualmente della vittima più giovane, un tredicenne finito al centro delle sue pulsioni pedofile. Un crimine di una ferocia inaudita che non ha impedito al suo autore, subito dopo averlo commesso, di fare un passeggiata con la madre e i cani, e di andare a cena con gli amici, pagandola con i soldi estorti alla mamma del ragazzo. Per poi riprendere una vita assolutamente normale, come se non fosse successo nulla, con l'intenzione di tornare a colpire, cercando su Internet foto di ragazzi somiglianti a quello che aveva ucciso quella sera del 2015, pochi giorni prima di Natale (un monito per quei genitori che postano con estrema nonchalance sui social le foto dei figli). La procuratrice pubblica Barbara Loppacher non è giunta al punto di evocare l'esecuzione capitale, ma ha comunque chiesto il massimo della pena, 20 anni, accompagnata da una misura di internamento a vita. Ha ottenuto il primo (era il minimo), non la seconda. I giudici hanno pronunciato un internamento ordinario. Il verdetto non rispecchia totalmente le richieste dell'accusa, ma non attenua la portata della condanna. Nell'attuale quadro giuridico, che prevede condizioni difficilissime da soddisfare cumulativamente per pronunciare un internamento a vita, è praticamente impossibile pretendere oltre. La differenza è più simbolica che di sostanza. «Spero che non torni mai più in libertà» ha detto la procuratrice, consapevole che esiste la possibilità di tenere per sempre il condannato in una struttura chiusa. È eloquente che anche le parti civili si siano dette soddisfatte della sentenza, ritenendo che la Corte abbia risposto alle loro attese di giustizia. Le ragioni per credere che l'assassino di Rupperswil resterà comunque in carcere anche dopo l'espiazione della pena di 20 anni sono più che fondate, perché l'internamento ordinario può essere prolungato a intervalli regolari e diventare, di fatto, come una reclusione a vita. Ed è bene che sia così. Fatta salva la condanna alla pena massima, più che un verdetto dimostrativo conta il risultato pratico per la sicurezza della comunità. Sulla carta, la via giudiziaria permette di invocare una decisione formalmente più severa. In realtà le possibilità sono scarsissime, per non dire nulle. Solo pochi giorni fa il Tribunale federale ha annullato la decisione del Tribunale d'appello del Canton Vaud di convalidare l'internamento a vita inflitto in prima istanza all'assassino di una ragazza di 19 anni La storia non si cancella. Nel 1979, il serial killer argoviese Werner Ferrari, dopo aver scontato 7 anni per l'omicidio di un bambino, venne rilasciato per buona condotta. Il medico legale sostenne che fosse guarito. Nei successivi nove anni Ferrari violentò e uccise altri quattro bambini. Nel 1993, a Zollikerberg (ZH), mentre si trovava in congedo, un uomo in espiazione di pena per omicidio uccise una ragazza. Al contrario, nonostante la richiesta di essere scarcerato dopo aver scontato una condanna di 15 anni, Peiry resta dietro le sbarre. Ma in casi come questo e quello di Rupperswil le sentenze, anche le più dure, non riescono né ad alleviare il dolore dei familiari né a cancellare lo sgomento nell'opinione pubblica. Che continuerà a convivere con l'atroce quesito di come il male possa assumere forme così estreme ed insinuarsi nell'insospettabile inquilino della porta accanto.
(il caso Marie), che in passato si era già macchiato di un reato analogo. Lo stesso aveva fatto nel caso dell'assassino di una sedicenne uccisa nel Canton Argovia. Il problema è che per ordinare la misura più estrema contemplata dal Codice penale servono due perizie indipendenti che qualifichino l'autore come «durevolmente refrattario alla terapia». Siccome è praticamente impossibile fare previsioni a lungo termine, difficilmente si troveranno periti concordi sull'impossibilità di curare un assassino. Si può essere severissimi in primo grado, ma i fatti dimostrano che basta un ricorso per dover riformulare un verdetto. Forse il caso di Rupperswil sarà l'occasione per chiedere una revisione legislativa ed abbassare l'asticella, ma quello che importa in questo momento è che la giustizia abbia sempre i mezzi per tutelare la società dal rischio che venga rimesso in libertà un criminale a forte rischio di recidiva. Negli ultimi anni la prassi è diventata molto più severa. L'errore fatale commesso nel Canton Vaud quando era stata concessa la libertà condizionata all'assassino di Marie è un deterrente che si aggiunge alle restrizioni legislative adottate dopo l'approvazione dell'iniziativa popolare per internare a
vita i criminali sessuomani. Le misure d'internamento sono in aumento, mentre le scarcerazioni si limitano a pochissime persone anziane e malate non più in grado di nuocere. Se vuole restare credibile la giustizia deve rispettare lo spirito restrittivo con cui le leggi sono state varate e non può scadere nel politicamente corretto.