Il partigiano innamorato

Ogni tanto qualcuno mi dice: «Tu che ami leggere, dimmi un libro bello, nuovo». Faccio un po’ fatica, perché la produzione di libri nuovi è una giungla, molti sono i chiamati e pochi gli eletti (e letti). Mi fido di più delle cose ben sedimentate. Per esempio: 100 anni fa nasceva Beppe Fenoglio, scrittore forte. E allora consiglio, anche a voi, la lettura di un suo romanzo bello, «Una questione privata». Fenoglio fu un uomo delle Langhe, ruvido e discreto, ombroso e generoso. Scriveva amaro e asciutto, realista, ritmato. Cantò senza retorica ideologica la vita partigiana e le asprezze contadine della sua terra. Morì giovane, nel 1963, a 41 anni. Fumò un milione di sigarette, ne ebbe un tumore che gli distrusse le corde vocali. Nelle ultime ore di vita gli erano accanto la moglie e l’amatissima figlioletta Margherita, e per lei vergò su un foglietto le ultime sue parole mute, un viatico per il futuro: «Ciau per sempre, Ita mia cara». Due mesi dopo la sua morte, uscì postumo il romanzo che vi consiglio perché lo considero il suo libro più vero, compatto e denso nella sua brevità. Milton, il protagonista, incarna uno struggimento privato sullo sfondo della lotta partigiana e il filo della sua storia personale si ingarbuglia nel groviglio dei fili della guerra civile italiana. Milton, studente partigiano, sta combattendo sui monti e nell’animo porta il suo innamoramento per Fulvia, la ragazza con cui ha avuto un rapporto di profonda amicizia: lui era ed è «cotto» di lei, lei lo ammirava. Le parlava bene, le raccontava di libri, scrittori, vita, le mandava lettere bellissime che lei adorava leggere. Fulvia stava in una villa fuori Alba e fu lì che Milton la frequentò. Attorno a loro si aggirava anche Giorgio, amico brillante di entrambi. Poi Milton parte per la lotta partigiana. E anche Giorgio. Milton nelle lunghe notti all’addiaccio si strugge per Fulvia, la pensa e la ama. Un giorno arriva furtivamente nei paraggi della villa dove stava Fulvia, nel frattempo sfollata altrove. Ci abita la custode, la quale gli insinua nell’animo il sospetto che Fulvia abbia amoreggiato con Giorgio. Il tarlo corrode Milton, che vuole sapere, non fosse che per mettere il cuore in pace. E cerca fra i compagni partigiani Giorgio, non per volergliene ma per sapere, appunto. Ma Giorgio è stato catturato dai fascisti ed è prigioniero. E allora Milton parte alla caccia di un nemico da catturare per poterlo scambiare con Giorgio e così finalmente conoscere la verità su Fulvia. La nervatura privata di Milton si intreccia con quella civile in una sintesi epica che ridice i temi mitici dell’amore e della guerra. I giorni e le notti di Milton sono tutti un camminare dentro piogge e freddo e nebbie, un fuggire e nascondersi: costeggia nottetempo villaggi e casolari per ottenere un po’ di cibo da contadini solidali ma impauriti, supera agguati e spari, compie viaggi fortunosi su camion lungo strade di fango. La partecipazione convinta alla Resistenza ma anche il morso privato della sua passione amorosa che dilata la sua motivazione di lotta mettono in risalto un aspetto, che è quello dell’unità totalizzante della persona: sentimenti, affetti, desideri individuali si impastano con la tensione dell’impegno civile.
Oggi sappiamo che Fulvia è esistita davvero (con altro nome) anche se il romanzo cambia le vicende, e fu una ragazza intensamente amata da Beppe. Si chiama Benedetta Ferrero, detta Mimma. Beppe si era perdutamente innamorato di lei, la quale invece sposò poi un altro e soltanto molti anni dopo raccontò la verità al giornalista Aldo Cazzullo del «Corriere della Sera»: «Sono io la Fulvia perduta. Volevo molto bene a Beppe, non lo amavo. Avevo quindici anni, Beppe mi corteggiava. Mi piaceva passeggiare e chiacchierare con lui, sentirlo parlare; aveva una grande cultura. Ma non mi sentivo attratta fisicamente da lui, glielo dicevo». Lui le scriveva lettere bellissime che lei adorava. Un giorno Beppe, amareggiato, le disse: «Se è vero che non t’importa nulla di me, allora ridammi le mie lettere e giurami di non ricopiarle». Mimma consegnò le lettere a un prete amico di Beppe (quello che benedisse la bara dello scrittore, come lui aveva chiesto, in un funerale laico). E di quei fogli non si seppe più nulla. Mimma abitò altrove, Fenoglio ne ebbe un grande dolore, qualche anno dopo lei di passaggio ad Alba con la sua bambina incontrò per caso lo scrittore e lui sorridendo mestamente a madre e figlia disse alla bambina: «Tu sei Luisa, io sono Beppe» e se ne andò: un ultimo guizzo ruvido, una malinconia. Vent’anni dopo quella stessa Luisa si laureerà con una tesi su Fenoglio… Di questo amore forte e perduto non sarebbe rimasto nulla nella scia del tempo se Fenoglio, scrittore vero, non ne avesse celata la storia, seppur mutandola, dentro un romanzo teso. E così quell’amore vive per sempre.