Pensieri di libertà

Il sesso o le idee?

Il proporre una premier donna, in Italia o altrove, potrebbe essere anche una sagace operazione di «markitecture» per prendere più voti puntando sul fattore sesso e trascurando il fattore idee
Francesca Rigotti
Francesca Rigotti
08.09.2022 06:00

Se in Italia una donna diventasse presidentessa del consiglio «ciò rappresenterebbe una rottura con il passato e sicuramente una buona cosa». Così si è espressa Hillary Clinton in una recente intervista sul Corriere della Sera, anche se a lei stessa la rottura non è riuscita. «Poi però, come ogni leader – ha aggiunto prudentemente Clinton – deve essere giudicata per quello che fa». Ovvio, sì, è banale.

Noi però ci chiediamo, a monte, se una candidata debba essere votata in quanto donna o per le sue idee. La faccenda non è semplice, anzi è complicata da diversi fattori: il proporre una premier donna, in Italia o altrove, potrebbe essere anche una sagace operazione di «markitecture» per prendere più voti puntando sul fattore sesso e trascurando il fattore idee.

Tale alternativa mi ha fatto tornare in mente una questione filosofico-politica di qualche anno fa sul rapporto tra tradizione e modernità, tra relativismo e universalismo: dobbiamo sostenere le idee locali o le idee migliori, le leggi tradizionali o le leggi migliori (intendendo per migliori aperte e rispettose dei diritti universali)? La risposta dei democratici liberali egualitaristi è ovviamente la seconda, e anche per il nostro quesito mi sento di dire che bisogna sostenere le idee e non il sesso. Questo anche se la leadership femminile presenta spesso buoni risultati, a vedere Sanna Marin in Finlandia e Jacinta Andern in Nuova Zelanda, e ancor più le premier del continente africano, Victoire Tomegah Dogbé in Togo o Rose Christiane Ossouka Raponda in Gabon. Donne preparate, competenti e resistenti al fascino della corruzione; di idee illuminate e non discriminanti come quelle che vengono spesso avanzate dal potere maschile e dai suoi privilegi. Negli USA «le donne di destra – afferma Clinton intervistata da Greta Privitera – sono contro l’aborto e a favore delle armi» (e della pena di morte).

Nel caso di Giorgia Meloni le sue idee antieuropeiste, sovraniste e di difesa dei «nostri» sono supportate da uno strano slogan, veloce, diretto e conciso: «Pronti» (paradossalmente al maschile). Sembra l’eco laica del motto di Salvini «Credo», che sta a metà tra la professione di fede e l’ammissione di incertezza (non «so» ma «credo»). In realtà quel «Pronti» evoca il motto dello scoutismo: «Be prepared», «Siate pronti» o anche, in latino «Estote parati», che altro non è che una citazione dai Vangeli di Luca (12, 40) e di Matteo (24,44), oltre che essere un richiamo a un punto trucido e bellicista dell’inno nazionale («Siam pronti alla morte»). Nel Vangelo si esortano i credenti a essere preparati all’arrivo del Messia. Qui una credente («Sono Giorgia, sono cristiana») si presenta come facente parte di un gruppo di «pronti». Alla morte di chi o di che cosa?