Il terrorismo delle parole

Circa 10 milioni di Uiguri, lo 0,6 % della popolazione totale, abitano la regione dello Xinjiang cinese. Di cultura musulmana, sono da decenni perseguitati dal governo centrale di Pechino. Accusa? Fomentare il cosiddetto «terrorismo islamico». In realtà, a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, con il sorgere di nuove repubbliche autonome o indipendenti, quella degli Uiguri è una «guerriglia» separatista in difesa della loro identità culturale, non molto altro. Ma ancora una volta la lessicologia è imposta dal potere dei dominatori: in questo caso la Cina e i suoi alleati «anti-islamici» occidentali. E il sacrosanto diritto di non voler cedere la propria terra all’immigrazione strangolatrice degli Han, il gruppo etnico maggioritario cinese, è stato declassato dal rango di resistenza, di guerriglia difensiva, a quello di terrorismo islamico. Con la conseguenza che, nella riprovazione di molti Paesi islamici (oggi, infine, anche della Turchia), ma non delle grandi potenze internazionali, nel territorio dello Xinjiang hanno cominciato a sorgere veri e propri campi di concentramento, a essere bloccati i confini ai musulmani che intendono raggiungere quella terra e a imperversare brutali repressioni di natura fascista. Risultato? Una straordinaria opera di «deislamizzazione» della regione è in atto sotto il pretesto di operare per la sua «modernizzazione» e nel segno della lotta al «terrorismo». Cosa ci insegna questo ennesimo caso di prevaricazione ai danni di una minoranza etnico-culturale non gradita? Che ovunque esistano interessi strategici, politici ed economici - e la lotta per il controllo dello Xinjiang muove, anche e soprattutto, dalle notevoli risorse energetiche presenti nella zona - possiamo stare certi che la terminologia incontra le acrobazie più spericolate: la resistenza diventa terrorismo, il diritto identitario diventa sedizione, la difesa culturale diventa eversione e via elencando. Su un piano generale, oltre che per il caso specifico degli Uiguri, è dunque sempre la medesima equazione a imporsi: se è una «minoranza» a reclamare le proprie ragioni, sarà sempre etichettata come minoranza sovversiva. E tutto ricadrà inesorabilmente nella qualifica di terrorismo: curdo, armeno, basco, catalano, del Polisario, degli Uiguri, maronita, palestinese eccetera. Un terrorismo, questo sì, delle parole, che sembra non risparmiare nemmeno i più sperduti e isolati musulmani del mondo.