Ventisei Cantoni

Il vaso di coccio

Nelle relazioni commerciali della Svizzera con gli Stati Uniti, la norma è stata la crisi – Ma è importante essere consapevoli che noi non siamo il vaso di ferro
Moreno Bernasconi
25.11.2025 06:00

Da quando mi occupo di politica svizzera non ricordo stagioni di grande idillio ed euforia nelle relazioni commerciali della Svizzera con gli Stati Uniti. La norma è stata la crisi. L’eccezione, brevi periodi di bonaccia fra una crisi e l’altra. Passare pur sommariamente in rassegna queste crisi può essere utile per giudicare a mente fredda l’imposizione unilaterale USA di dazi al 39% e il successivo compromesso di dazi al 15%, a patto di investimenti plurimiliardari e altre concessioni agli Stati Uniti.

La prima crisi di cui mi sono occupato come corrispondente parlamentare fu quella sul reato di Insider Trading (art. 161 del Codice penale), entrato in vigore nel 1988 dopo un dibattito molto acceso alle Camere federali. La riforma faceva seguito a un Memorandum of Understanding e a fortissime pressioni da parte degli Stati Uniti alle quali le Camere cedettero. Mi aveva molto colpito il vibrante appello del Consigliere agli Stati liberale glaronese Peter Hefti, ostile alla riforma: «Colleghi, questa è una Lex Americana!». Erano le prime avvisaglie di una guerra campale contro il segreto bancario svizzero che mirava a combattere attività criminose di clienti che lo usavano come copertura, ma anche - de facto - a indebolire una piazza finanziaria svizzera forte, che in buona misura faceva onestamente il proprio mestiere. Nei due anni successivi, contro la Svizzera si scatenò una feroce campagna internazionale dovuta alle accuse di nascondere attività di riciclaggio di denaro.

Nel 1989 la Consigliera federale Elisabeth Kopp, prima donna eletta in Governo e a capo del Dipartimento di giustizia, fu costretta a rassegnare le dimissioni perché aveva avvertito il marito dell’inchiesta «Lebanon connection» per riciclaggio di denaro nella quale egli era indiziato. Kopp fu assolta dall’accusa di violazione del segreto d’ufficio, ma ormai il Paese era in preda ad uno psicodramma nazionale.

Nel 1990 la Svizzera varò, sotto la pressione degli Stati Uniti e della Financial Action Task Force del G7, una norma penale contro il riciclaggio di denaro. Dal 1995 al 1998 ci fu una crisi diplomatica acuta fra le autorità politiche americane e la Svizzera, accusata di essere stata compiacente verso istituti bancari che avevano fatto sparire fondi in giacenza appartenenti a ebrei vittime della Germania nazista. Quattro Stati americani minacciarono il boicottaggio dei prodotti svizzeri. Il contenzioso fu risolto solo nel 1998, con un risarcimento di un miliardo e 250 milioni di dollari dell’epoca.

La lunga guerra contro il segreto bancario dei clienti esteri delle banche svizzere ebbe nel 2009 un punto di scontro acuto. E a voler piegare le ultime resistenze svizzere non furono solo gli americani, ma anche l’Unione europea. La Svizzera fu inserita dall’OCSE in una lista nera provvisoria dei paradisi fiscali per vincere le reticenze di Berna e costringerla ad accettare lo scambio automatico di informazioni fiscali. Il ministro tedesco Peer Steinbrück applaudì l’operazione e commentò pubblicamente con sarcasmo che la lista nera non esisteva davvero e che «non sempre è necessario mandare la cavalleria: l’importante è che gli indiani (ovvero gli Svizzeri) credano che essa c’è» in modo che si arrendano. E così fu.

La Svizzera cedette alle pressioni di Stati Uniti, UE e OCSE nel 2014 e nel 2017 ha rinunciato al segreto bancario per i clienti esteri. La cavalleria fu comunque inviata poiché la Svizzera fu inserita nelle liste nere di diversi Paesi (da quella italiana è stata tolta nel 2023!). E lo scontro con gli USA e Paesi dell’UE non si placò: la Germania acquistò dati bancari rubati di clienti di banche svizzere; Francia e Stati Uniti comminarono multe miliardarie a istituti bancari svizzeri. La beffa? Gli Stati Uniti, che impongono alle banche svizzere di fornire alle proprie autorità fiscali informazioni dettagliate sui conti di contribuenti americani… sono fra i paesi al mondo che più applicano il segreto finanziario sul proprio territorio. Gli Stati del Delaware, Wyoming, South Dakota e Nevada… sono dei floridi paradisi fiscali. Ricordate la favola di Esopo «Il vaso di coccio e il vaso di ferro»? Beh, è importante essere consapevoli che noi non siamo il vaso di ferro. 

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