Il commento

Inflazione, avversaria dotata di tenacia

Le banche centrali dovrebbero evitare di esagerare con i tagli dei tassi nei non pochi casi in cui l’inflazione non è tornata stabilmente al 2% di media annua, percentuale che gli istituti di emissione stessi, o almeno i maggiori tra loro, hanno stabilito come obiettivo
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
08.11.2025 06:00

In molti Paesi si fa ancora fatica a tenere l’inflazione dentro gli argini previsti. Una volta arrivato, il rincaro molto spesso è tenace nel cercare di rimanere. Non va dunque sottovalutata la necessità di completare quella lotta all’inflazione che le banche centrali hanno varato, seppur con ritardo, a partire dal 2022, utilizzando i rialzi dei tassi di interesse. Di fronte alla discesa dai picchi del rincaro, è stato in seguito opportuno abbassare i tassi. Ma ora le banche centrali dovrebbero evitare di esagerare con i tagli dei tassi nei non pochi casi in cui l’inflazione non è tornata stabilmente al 2% di media annua, percentuale che gli istituti di emissione stessi, o almeno i maggiori tra loro, hanno stabilito come obiettivo.

Guardando agli ultimi dati del Fondo monetario internazionale, si può vedere come circa i due terzi delle economie avanzate quest’anno avranno un’inflazione media superiore al 2%. È un discorso che fortunatamente non riguarda la Svizzera, che rimane tra i Paesi a rincaro più contenuto, 0,1% in ottobre, ben dentro l’obiettivo della Banca nazionale, che è 0%-2%. Ma, pur essendo ciò positivo per noi, occorre prestare attenzione anche al quadro generale, perché eventuali nuove onde di inflazione a livello internazionale finirebbero inevitabilmente per avere riflessi anche alle nostre latitudini, sui prezzi e sulla crescita economica.

Il discorso principale riguarda gli Stati Uniti, sia perché sono la maggior economia mondiale, sia perché la guerra dei dazi voluta dal presidente Trump crea particolari tensioni sui loro prezzi. Il dato sull’inflazione USA in settembre, pari al 3%, è stato ben accolto dai mercati, perché molti si aspettavano un 3,1%. In realtà, non c’è da brindare. A parte la differenza esigua rispetto alle attese, il fatto più importante è che il trend di risalita è stato confermato, occorre infatti pensare che in aprile gli USA erano al 2,3%. Un altro Paese che fatica molto a non far risalire l’inflazione è il Regno Unito, che con l’indice CPI in settembre era al 3,8%, contro il 2,6% del marzo scorso. L’Eurozona sta meglio in questo campo, con il 2,1% reso noto per ottobre; ma anche qui abbassare totalmente la guardia sarebbe un errore, considerando che nel maggio scorso l’inflazione dell’area euro era all’1,9%.

I dazi americani sono certamente un fattore che ostacola la lotta contro l’inflazione. Questo per due motivi principali: il conseguente aumento diretto dei prezzi dei beni per imprese e consumatori; l’erosione del libero scambio, che quando viene invece sviluppato a livello globale consente l’abbassamento o il contenimento di molti prezzi. Il protezionismo è negativo sia per la crescita sia per il rincaro. Ma a giocare contro la lotta all’inflazione ci sono anche altri elementi, importanti e tuttavia non sempre citati con riferimento al capitolo del rincaro. Si pensi ai livelli eccessivi, in molti Paesi, di spese e debiti pubblici, per finanziare i quali si emettono titoli e di fatto si stampa quindi moneta che si aggiunge ad altra moneta, contribuendo all’inflazione. Si pensi anche alla transizione energetica, argomento giusto che richiede però un equilibrio tra gli obiettivi possibili e quanto si investe, altrimenti pure qui si contribuisce a meccanismi di inflazione.  

Un’obiezione classica è che spesso è la stessa crescita economica a creare inflazione, muovendo maggiormente merci e servizi. Ciò può avvenire, ma come si vede non è il caso di questa fase, perché è in corso un rallentamento della crescita internazionale. Un’altra obiezione è che occorre tenere comunque i tassi molto bassi, per sostenere la ripresa economica ed evitare la recessione; questa obiezione però non considera un altro pericolo consistente e cioè di arrivare a una recessione attraverso un’inflazione che risale e che porta alla fine a una contrazione dei consumi e degli investimenti.  D’altro canto le banche centrali hanno già abbassato i tassi, ora sarebbe bene tener conto sino in fondo dell’evoluzione del rincaro.