Intelligenza aziendale

Nel 1888 Nikola Tesla ha scoperto come trasmettere efficacemente l’elettricità. Da quel momento è stato possibile usarla su larga scala anche nella produzione industriale. Ma ci sono voluti più di quarant’anni, non è stata una trasformazione immediata. Sarà lo stesso per l’intelligenza artificiale? Ci vorranno decenni prima di vedere cambiamenti e soprattutto miglioramenti a livello produttivo?
Per adesso, grandi progressi nella produttività ancora non si vedono.
Alcuni sostengono addirittura che l’intelligenza artificiale sia un freno al reddito delle aziende. Il Massachusetts Institute of Technology afferma che il 95% delle aziende che investono nell’intelligenza artificiale non vedono nessun ritorno. L’entusiasmo non manca, i capitali scorrono generosamente – si parla di 40 miliardi di dollari globalmente - ma dagli investimenti torna indietro poco o niente. Perché?
I dipendenti vengono incoraggiati ad usare l’intelligenza generativa, come ChatGPT e Copilot. Ma l’intelligenza generativa sembra aiutare solo alcune industrie, i media e le telecomunicazioni, molto meno tutte le altre. Ad esempio, il commercio, la farmaceutica o la finanza ne traggono poco beneficio. Perché di fatto questi cosiddetti grandi sistemi di linguaggio sono costruiti per generare testi ma falliscono se messi davanti ad un problema la cui soluzione non hanno già «letto» da qualche parte online. Non ragionano.
Nelle aziende un collaboratore può scrivere all’istante un testo dall’apparenza patinata e leziosa. Ma siccome questi documenti sono in realtà spesso inaffidabili, finiscono per creare lavoro in più per gli sventurati colleghi a cui sono destinati. La Harward Business Revue ha già un nome per questo fenomeno, lo chiamano work-slop. Testi, rapporti e slides scritti dall’intelligenza generativa sono perfetti e accattivanti a prima vista, ma si rivelano poi imprecisi o addirittura allucinati ad un esame più attento. Inutilizzabili, a meno che chi li riceve si rimbocchi le maniche e corregga tutto quello che non va. In altre parole, spesso chi usa ChatGPT non fa che spostare sulle spalle dei colleghi il lavoro che avrebbe dovuto fare ragionando e riflettendo con la sua di intelligenza. Nelle aziende i costi del work-slop cominciano a farsi sentire. Clamoroso il recente caso di una delle maggiori società di consulenza a livello internazionale. Incaricata dal governo australiano ha consegnato un rapporto all’apparenza perfetta, ma in gran parte sbagliato. Sembra che i suoi dipendenti l’avessero scritto con l’aiuto dell’intelligenza generativa. L’azienda ha poi dovuto ricorreggere tutto e restituire gran parte dell’onorario. Non solo zero ritorno dell’investimento ma perdita, di soldi e reputazione.
Che l’intelligenza artificiale stia trasformando radicalmente l’industria – è ormai un mantra, ripetuto ovunque. Ma non per questo diventa più vero. L’adozione da parte delle aziende è assai elevata, ma per adesso sono meno del cinque per cento a trarne un reale profitto. E questo non perché le aziende siano lente o timide nell’adottare le nuove tecnologie. Mai come ora si è visto tanto entusiasmo nell’introdurre sistemi di intelligenza artificiale generativa. Molti collaboratori sono felici di usare ChatGPT per scrivere rapporti e corrispondenza e ne fanno uso spensieratamente. Tra l’altro, sorvolando su quanti dati protetti dal segreto aziendale mettono in circolazione e a disposizione delle app.
Certo, anche per l’elettrificazione dei processi produttivi, delle città e delle case ci sono voluti decenni. Forse andrà così anche per l’intelligenza generativa. Una differenza però c’è.
Oggi tutti, le aziende come anche le nazioni corrono per implementarla ovunque – senza ancora vederne veramente i vantaggi. Sul Financial Times il Nobel per l’economia Krugman è stato schietto: «Mi chiedo se non stiamo assistendo ad una corsa per far parte dell’onda del futuro prima ancora di essere certi che si tratti davvero del futuro».

