La certezza dell'incertezza: orientarsi nel nuovo disordine mondiale

Il mondo è entrato in un nuovo e inquietante capitolo. Le certezze che per oltre settantacinque anni hanno sostenuto la stabilità globale – la leadership costante degli Stati Uniti, il commercio prevedibile e una pace relativa in Europa – hanno ceduto il posto a un ordine più frammentato, conflittuale e imprevedibile: un Nuovo Disordine Mondiale.
È un’epoca in cui un presidente americano impulsivo impone la propria visione transazionale dei rapporti tra le grandi potenze, mentre potenze emergenti di media dimensione – come Brasile, India, Sudafrica, Turchia e Arabia Saudita – non vogliono più intrattenere un rapporto «monogamico» con Washington. La Cina, nel frattempo, approfitta del caos negli Stati Uniti per avanzare le proprie ambizioni globali. La Russia è divenuta in parte un vassallo di Pechino, ma resta un aggressore pericoloso in Ucraina e una minaccia diretta alla sicurezza europea.
Con il sistema multilaterale in crisi e lo Stato di diritto messo in discussione negli stessi Stati Uniti, l’unica certezza oggi è proprio l’incertezza.
Lo scenario economico riflette questa instabilità. Il ritorno di dazi e barriere commerciali ha sostituito l’era della globalizzazione con una stagione di protezionismo selettivo. Gli Stati Uniti, un tempo architetti del libero scambio, utilizzano ora i dazi come armi politiche. Le tariffe – in media al 18,5 per cento nel mondo, 55 per cento sulla Cina e addirittura 39 per cento sulla Svizzera – rappresentano un netto arretramento rispetto al consenso liberalizzatore delle passate decadi. Queste misure pesano su esportatori, distributori e consumatori, alimentando tensioni inflazionistiche in un’economia globale già fragile.
Per la Svizzera, che vive di export ad alto valore aggiunto e di reputazione per precisione e affidabilità, il cambiamento è tutt’altro che teorico: è la prova che neppure i sistemi più efficienti sono immuni dagli scossoni di politiche decise altrove. Anche l’industria europea ne avverte il contraccolpo. Le catene di approvvigionamento vengono ridisegnate e il «friend-shoring» è diventato la nuova parola d’ordine. Oggi le imprese devono pianificare non solo in base alla domanda e all’innovazione, ma anche agli effetti economici e commerciali della geopolitica.
Parallelamente, l’Europa affronta la sfida di sicurezza più grave di una generazione. L’invasione russa dell’Ucraina si è trasformata in una lunga e sanguinosa guerra di logoramento, che mette alla prova l’unità dell’Occidente e ne rivela i limiti diplomatici. L’esito del conflitto definirà il ruolo europeo per i prossimi decenni. Nonostante i progressi nella diversificazione energetica e nella cooperazione in materia di difesa, il continente fatica ancora a parlare con una sola voce. Tra l’aggressività di Mosca e l’imprevedibilità di Washington, l’Europa deve riscoprire una propria autonomia strategica – o rischia di essere schiacciata tra i due.
Negli Stati Uniti, i contrasti interni aggiungono un ulteriore livello di incertezza. Polarizzazione politica, guerre culturali e diseguaglianze crescenti erodono la coesione che un tempo rendeva credibile la leadership americana. I mercati reagiscono con nervosismo alla volatilità delle campagne elettorali e alla politica commerciale per tweet. Per il resto del mondo, le divisioni interne americane alimentano dubbi sulla sua affidabilità come ancoraggio globale – dubbi che la Cina, sempre più assertiva, è pronta a sfruttare.
L’ascesa di Pechino non è più una tendenza astratta, ma un dato strutturale del sistema internazionale. Con enormi investimenti in tecnologia, infrastrutture e alleanze strategiche, la Cina costruisce una rete alternativa d’influenza che si estende dall’Asia all’Africa e all’America Latina. Il suo messaggio è semplice: mentre l’Occidente discute, la Cina costruisce. Per le economie occidentali la sfida è duplice: competere e cooperare allo stesso tempo, difendendo mercati aperti e valori democratici senza rinchiudersi in se stesse.
Da questo quadro turbolento non emerge solo il rischio, ma anche un invito al realismo. L’economia mondiale non sta crollando, si sta riorganizzando. Il potere sarà meno concentrato, più distribuito tra regioni, tecnologie e idee. Il dollaro resterà valuta di riserva, ma conterà relativamente meno nelle riserve delle banche centrali, che oggi detengono più oro che dollari. La sua recente svalutazione, però, ha aggravato l’impatto dei dazi americani sulle imprese europee. E potrebbe continuare.
Per investitori e imprenditori la lezione è chiara: l’incertezza è ormai parte integrante del modello di business. Che rende più difficile gestire le imprese e prendere delle decisioni strategiche.
Il ruolo crescente di Lugano come crocevia di dialogo – ospitando capi di Stato, economisti, investitori, CEO, diplomatici, tecnologici e studiosi da tutto il mondo – riflette questa nuova realtà. Il Lugano Global Forum non è una conferenza come le altre: è una conversazione tra leader e pensatori, una piattaforma di confronto ragionato in un’epoca in cui troppo spesso l’urlo sostituisce l’analisi. Nello spirito della sua missione, dedicato a comprendere meglio il nostro mondo in rapido cambiamento, il Forum invita i suoi ospiti a riflettere su come adattarsi a un pianeta che non si muove più in linea retta.
In tempi come questi, la chiarezza è una merce rara. Il compito che ci attende è affrontare il cambiamento senza paura, trasformare l’incertezza in strategia e riscoprire la cooperazione in un’epoca di frammentazione. Il mondo può essere disordinato, ma resta nostro da modellare – se saremo all’altezza della sfida.

