La Cina vicina non ha vinto

Ci sono un ambasciatore, un giornalista e un uomo d’affari. Non è il classico inizio della solita barzelletta che ormai quasi nessuno racconta più, ma è il ricco casting di una stimolante «matinée», di cui ha beneficiato il foltissimo pubblico accorso sabato mattina alla Biblioteca cantonale di Lugano. A lanciare l’incontro il direttore Stefano Vassere, che, sia detto per inciso, ha fatto delle quattro biblioteche cantonali dei centri di divulgazione culturale di prim’ordine. Più di duecento le manifestazioni nell’ultimo anno, con Lugano città trainante grazie alla consolidata tradizione e alla Sala Tami, spazio culturale impareggiabile immerso nel parco Ciani. Bernardino Regazzoni, Alfonso Tuor e Tito Tettamani i protagonisti della mattinata, condotta da Michele Fazioli, che ha favorito da par suo una discussione agile e ritmata. Il godibile libro scritto a sei mani («La mia Cina», Dadò editore) ha lasciato spazio a una ricca aneddotica di tre personalità che hanno avuto a che fare con la Cina da specole diverse. Una ricca diversità emersa in particolare dopo un’affermazione forte di Tuor (moglie e figlia cinesi): «La Cina ha già vinto!». Ha subito reagito, dissentendo con ferma signorilità, Bernardino Regazzoni (per quattro anni ambasciatore svizzero a Pechino), mentre Tito Tettamanti (che ha fatto affari in tutto il mondo, Cina compresa ma fino a un certo punto) ha più volte richiamato l’auspicio che l’Occidente torni a promuovere i propri valori, ricordando che tutte le sedicenti «dittature vincenti» hanno fatto una brutta fine. Non scordiamoci che in Cina, se si dà fastidio al potere, dalla sera alla mattina si può sparire dalla circolazione in circostanze misteriose.
Sono stato un’unica volta in Cina nel 2001, subito dopo le Torri Gemelle, quale membro di una giuria internazionale che doveva valutare i migliori Cd-Rom prodotti nel mondo. Si guasta il proiettore e il conduttore locale impone perentoriamente ai giurati di non alzarsi dalle poltroncine fino a problema risolto. La riparazione dura quasi un’ora, nessuno si è alzato e ho avuto l’opportunità di parlare con agio con il giurato cinese seduto alla mia destra. Capelli nerissimi, sguardo acuto, scopro con sorpresa che già da un po’ è in pensione e che è stato a lungo professore di francese in un’università di Pechino. Gli chiedo della rivoluzione culturale degli anni Sessanta e mi risponde senza remore che, giovane insegnante appena sposato con una bimba di un anno, è stato prelevato nella notte da casa propria e spedito mille chilometri a Sud a raccogliere arance, mentre la moglie è stata mandata nelle campagne del Nord, con la bimba affidata alla nonna a Pechino. Avrebbe rivisto moglie e figlia dopo un anno, ma mentre raccoglieva arance non aveva idea di quando sarebbe potuto tornare a casa! Torniamo al dibattito, rilevando che Tuor si è smarcato, ricordando che «La Cina ha vinto» è il titolo di un libro appena uscito da Feltrinelli di Alessandro Aresu, specialista di nuove tecnologie che scrive su riviste del calibro di «Limes» e «Le Grand Continent». Molte però le indicazioni che la Cina non ha vinto (se non in settori specifici come la mobilità elettrica o i pannelli solari) e una recente: IBM proporrà il primo quantum computer nel 2029. Potrebbe così cambiare radicalmente (si veda «L’uomo quantistico», il recente e poderoso saggio di Derrick de Kerckhove) il modo di usare l’intelligenza artificiale che già oggi pone mille interrogativi. In questo mondo inafferrabile occorre capire bene chi si è e dove si vuole andare. Ce lo può suggerire una barzelletta che ci ostiniamo a raccontare a conoscenti stranieri, curiosi di una piccola nazione così ricca e da tanti anni al primo posto al mondo in tema di innovazione.
In una scuola materna internazionale molti bimbi stanno giocando e parlando fra di loro, discettando intorno a una domanda classica: «Come nascono i bambini?» «Lo sanno tutti», sostiene con una certa sicumera il bimbetto tedesco, «i bimbi li portano le cicogne». Il compagnuccio italiano sorride con l’aria di uno che la sa lunga: «Ma stai scherzando, tutti i neonati vengono trovati nell’orto, sotto una foglia di cavolo». La discussione si infiamma e tutti dicono la loro, tranne il bambinello elvetico che tutto assorto gioca in un angolo con i suo cubetti (studierà all’ETH). «E allora che si dice in Svizzera? Come nascono i bambini lì da voi?» gli chiedono in coro. Risposta spiazzante: «Dipende da cantone a cantone…». Il federalismo svizzero ha radici profonde, come la cultura cinese.

