La crescita nel nuovo anno

Su un piatto della bilancia ci sono le tensioni geopolitiche, le guerre, i dazi USA. Sull’altro piatto ci sono la resilienza e la capacità di reazione messe in mostra da gran parte delle economie. Se il peso dei fattori politici ed economici negativi aumenta ulteriormente, le possibilità di tenuta per le economie naturalmente diminuiscono. Se viceversa il quadro geopolitico ed economico si fa meno pesante, la resilienza delle economie può ovviamente salire. È semplice e complessa allo stesso tempo la fotografia della situazione economica mentre il 2025 si conclude e il 2026 è in arrivo. Il rallentamento economico internazionale sin qui non si è trasformato in recessione e questo è un fatto positivo. D’altro canto il quadro complessivo, soprattutto per quel che concerne la geopolitica, rimane un fardello che rischia di incidere ancor più negativamente. Le previsioni prevalenti, sulla base degli elementi disponibili, indicano per l’anno nuovo il proseguimento del rallentamento, ma in termini contenuti. Secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), rese note all’inizio di questo mese, la crescita economica mondiale nel 2026 dovrebbe essere del 2,9%, dopo il 3,2% del 2025 e il 3,3% del 2024. Nel 2027, ipotizza l’OCSE, potrebbe esserci una risalita della crescita. Ma naturalmente le previsioni sono molto difficili se ci si sposta in là nel tempo. Accontentiamoci delle già non facili previsioni per l’anno che arriva. I commerci mondiali nel 2026 dovrebbero salire del 2,3%, in perdita di velocità rispetto al 4,2% del 2025. Si legge in queste cifre dell’OCSE lo spostamento sull’anno nuovo della maggior parte dell’effetto negativo dei dazi americani; quest’anno infatti il freno derivante dalle tariffe sull’import USA è stato in una certa misura compensato dagli acquisti anticipati, attuati da imprese attive negli Stati Uniti per fare scorte prima dell’entrata in vigore dei dazi.
A proposito di USA, questi restano il maggior motore economico mondiale ma dovrebbero registrare anch’essi rallentamenti nella crescita economica: il Prodotto interno lordo americano dovrebbe aumentare dell’1,7% nel 2026, dopo il 2% del 2025 e il 2,8% del 2024 (per i dati trimestrali gli USA ora cantano vittoria, ma hanno metodi di calcolo diversi, in realtà conta la media annua reale). L’Eurozona dovrebbe avere ancora il passo lento, seppur in lieve miglioramento: 1,3% quest’anno e 1,2% il prossimo, dopo lo 0,8% dell’anno scorso. La Svizzera dovrebbe rallentare, ma rimanendo sopra la soglia dell’1%: 1,1% nel 2025 e 1,2% nel 2026, dopo l’1,4% del 2024 (cifre al lordo degli eventi sportivi). L’inflazione dovrebbe rimanere nel complesso sotto controllo, con una media annua per i Paesi del G20 del 3,4% per quest’anno e del 2,8% per il prossimo. Il contenimento dell’inflazione è importante anche perché consente di non alzare i tassi di interesse, che in effetti dovrebbero rimanere bassi. Ci sono però due considerazioni da fare. La prima è che molti Paesi sono ancora sopra quel 2% di inflazione che è l’obiettivo delle maggiori banche centrali. La seconda è che alcune tensioni vengono dagli USA, la cui inflazione quest’anno dovrebbe salire al 2,7%, con previsione al 3% per il prossimo. Una spinta ulteriore ai prezzi americani potrebbe venire proprio dagli effetti dei dazi. Diversa la situazione dell’Eurozona, che dovrebbe registrare un’inflazione ancora in calo, al 2,1% quest’anno e all’1,9% il prossimo.
La Svizzera è già da tempo nella fascia-obiettivo della Banca nazionale (0%-2%) e dovrebbe continuare ad avere un’inflazione tra le più basse, ben inferiore all’1%. La guerra in Ucraina, i conflitti bellici in Medio Oriente, altri scontri armati nel mondo, non aiutano la crescita economica complessiva. Se si guarda al risultato generale, non è vero che le guerre portino, attraverso lo sviluppo di molti affari, anche crescita. Ci sono singoli settori, a cominciare da quello delle armi, che possono trarre benefici economici dai conflitti, questo è vero. Ma nel complesso nelle guerre prevalgono le distruzioni, anche economiche. Le ricostruzioni sono anche affari, si dice spesso, ma ciò coglie solo una parte della realtà, trascurando un altro aspetto importante: distruggere per poi dover ricostruire non genera un percorso equilibrato di crescita. Occorre anzitutto evitare le perdite umane, è chiaro. Ma occorre poi anche evitare le perdite economiche. Crescita più solida e fine delle guerre sono capitoli che si intrecciano.

