Commento

La crisi europea è solo agli inizi

Emerge sempre più chiaramente il pericolo che la guerra in Ucraina acceleri la deindustrializzazione del Vecchio Continente con una forte perdita di competitività e quindi un impoverimento dell’intera economia
Alfonso Tuor
01.12.2022 06:00

È solo cominciata la crisi europea. Emerge infatti sempre più chiaramente il pericolo che la guerra in Ucraina acceleri la deindustrializzazione del Vecchio Continente con una forte perdita di competitività e quindi un impoverimento dell’intera economia. L’Unione europea si ritrova infatti alle prese con una crisi energetica destinata ad ampliarsi, con la «chiusura» del mercato americano dovuta alle norme che limitano alle imprese statunitensi i sussidi per le tecnologie ambientali, con un aumento del debito pubblico ed un’inflazione che non è destinata a scendere rapidamente e con un costo crescente del sostegno all’Ucraina oltre a profonde divisioni interne che rendono difficile ogni decisione condivisa. Se si analizza la questione energetica si scopre che i Paesi europei sono riusciti a ridurre la dipendenza dal gas russo e probabilmente a garantire che l’inverno venga superato senza dover ricorrere a misure di razionamento, ma si scopre pure che, sebbene il prezzo del metano sia sceso nelle ultime settimane, resta pur sempre 6 volte superiore ai 20 euro di un anno fa. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento non sono comunque bastate ad annullare la dipendenza dalla Russia, che continua fornire il 15% delle importazioni europee di metano. Inoltre il ricorso al gas liquefatto (GNL) comporta prezzi elevati. Basti citare l’irritazione del Presidente francese Emmanuel Macron che ha accusato le imprese americane di realizzare extraprofitti vendendo all’Europa gas a prezzi di 5 volte superiori ai 20 dollari che ottengono dalle vendite sul mercato americano. Con questi prezzi, come hanno sottolineato i Grandi dell’industria chimica tedesca, l’industria europea non è più competitiva. Qualcosa di simile potrebbe accadere la settimana prossima anche per il petrolio con l’eccesso di zelo di Bruxelles che vuole introdurre un tetto al prezzo dell’import di greggio russo (mossa osteggiata persino dagli Stati Uniti). Quindi il costo del metano sta mettendo a rischio la competitività non solo dei settori energivori, ma anche di quelli alle prese con l’esplosione dei costi dell’elettricità. Il desiderio delle aziende europee di trasferire la produzione in Asia e negli Stati Uniti viene rafforzata dalla decisione americana di limitare i sussidi varati per favorire le nuove tecnologie solo ai beni (auto elettriche, ecc.) che soddisfano il requisito di avere solo componenti americane, canadesi o messicane. Bruxelles ha preannunciato un ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio, che però non deciderà prima di un anno. Nel frattempo l’Europa deve fare i conti con un’inflazione che in molti Paesi viaggia già a due cifre e che costringerà la Banca centrale a continuare ad aumentare i tassi di interesse, mentre si ingrossa il debito pubblico dovuto ai vari provvedimenti adottati per contenere l’impatto su aziende e famiglie dell’aumento dei prezzi dell’energia. L’Istituto di ricerca di Bruegel ha calcolato che dallo scorso mese di settembre i governi europei hanno già speso 573 miliardi di euro tra riduzione dell’IVA, trasferimenti alle famiglie povere, salvataggi delle aziende elettriche, ecc. Queste spese si aggiungono a quelle stanziate negli anni della pandemia peggiorando i già «claudicanti» debiti pubblici di molti Paesi. A ciò si aggiungono l’aumento delle spese militari concordate a livello NATO con l’obiettivo di giungere al 2% del PIL e soprattutto il costo dell’aiuto all’Ucraina che si articolerà nell’accoglienza di una nuova ondata di profughi e nel sostegno di un Paese che ha bisogno di 5 miliardi di dollari ogni mese per non finire in bancarotta e tutto ciò dimenticando gli eventuali costi della ricostruzione. Insomma sono destinati a mancare i soldi non solo per alleviare una possibile recessione, ma soprattutto quelli indispensabili per contrastare la deindustrializzazione del Vecchio Continente. Si deve in conclusione constatare che nel Vecchio Continente la crisi è solo cominciata.