La danza dei miliardi

Non vi è testo che parli di economia o di politica nel quale non vengano citate cifre miliardarie, talvolta nell’ordine delle migliaia di miliardi.
Probabilmente ne sono particolarmente scioccato essendo uomo del secolo scorso, quando il termine di referenza negli affari era il milione.
Penso chiunque resti allibito sentendo che la NVIDIA, società che produce «graphics processing units (GPUs - schede grafiche)» pesa alla borsa 4.400 miliardi di $ (4.400.000.000.000!) con un modestissimo reddito annuo, prima di interessi e tasse, di 87 miliardi. Pure Microsoft e Apple sono entrambe capitalizzate sui 3.800 miliardi. I magnifici sette, come sono chiamati in Borsa, comprendono anche Amazon, Alphabet, Meta e Tesla e sommano quasi 21 mila miliardi, rappresentando circa il 50% della capitalizzazione totale delle società quotate al Nasdaq. Simili concentrazioni in un ramo di attività (quello tecnologico) possono rappresentare un grave pericolo di possibile turbamento per l’intero mercato, qualora queste attività entrassero in crisi. Può allarmare pure il rapporto tra capitalizzazione ed utile che si aggira sulle 40 volte rivelando una redditività più che modesta e insufficiente per ogni genere di investimento. Anni fa l’oltrepassare le 10 volte metteva in guardia. Sono corsi che scontano già oggi successi e risultati che si prevede (spera) possano realizzarsi in un futuro che potrebbe anche non essere immediato. Se poi il rapporto è di 225 volte come per la società Palantir non abbiamo più a che fare con un titolo ma con un biglietto della lotteria.
Molto si basa sugli sviluppi dell’IA (intelligenza artificiale) che non possiamo considerare certi e potrebbero realizzarsi in tempi più lunghi o con risultati meno gratificanti.
Le migliaia di miliardi non si limitano alle quotazioni. Il campo tecnologico che ruota attorno allo sviluppo dell’IA necessita di centri di produzione, che tempo fa per l’economia manifatturiera erano le fabbriche.
Uno studio McKinsey prevede che per i «chips data center» e per la fornitura dell’energia necessaria per la produzione dell’IA nei prossimi cinque anni si dovranno investire 5.200 miliardi di $ (5.200.000.000.000).
Desumo dall’Economist che uno di questi centri, «Stargate», necessiterà di 500 miliardi di dollari per la sua completa costruzione e messa in opera. Vi sono perplessità sulla realizzabilità di questi piani. Tra l’altro si teme che i progressi dell’IA possano rendere obsoleti in tempi corti i sistemi di produzione costruiti svalutando di conseguenza gli investimenti fatti. La strutturazione e solidità delle società finanziarie che raccolgono e investono soldi di clienti non è esente da interrogativi. Perplessità suscitano pure impegni di acquisto, finanziamenti, addirittura partecipazioni incrociate tra società del settore.
Nulla di nuovo e di strano. Il rischio è connaturato con le attività economiche di qualsiasi genere, ma va comunque tenuto in conto e gestito.
Nelle migliaia di miliardi ci imbattiamo anche quando parliamo di politica e di Stati. La differenza è che qui sono solo debiti.
Gli USA hanno 28.700 miliardi di debito pari al 121% del PIL. Comprensibile il nervosismo di Trump che vuole trovare il modo per farseli pagare dagli altri.
Francia, Italia, Spagna, tre tra i più importanti Paesi dell’UE sono straindebitati. La Francia, con 3.346 miliardi di €, pari al 114% del PIL, da diversi decenni non ha un bilancio annuale in pareggio. L’Italia un debito pubblico di 2.862 miliardi pari al 138% del PIL. La Spagna un debito pubblico di 1.691 miliardi pari al 103,4%.
L’enorme indebitamento ostacola anche lo sviluppo di possibili politiche opportune per il Paese.
Pesante a questi livelli è pure l’onere per gli interessi che maturano sui debiti. Il tasso di affidabilità per la Francia è sceso, di conseguenza gli interessi richiesti dai creditori aumentano. Su un debito di 3.346 miliardi un maggior aggravio per interessi dell’1% corrisponde ad un maggior esborso annuo di 33,46 miliardi.
Preoccupante l’inclinazione delle Banche Centrali negli anni scorsi ad abbassare i tassi di sconto allo 0% nel chiaro tentativo di alleviare gli oneri per interessi per i diversi governi straindebitati.
Conseguenza: l’«asset inflation», vale a dire l’enorme aumento di valore dei beni immobili e dei valori di borsa. Le liquidità non avendo reddito, ed i debiti costando anormalmente poco, gli investimenti si sono concentrati sull’immobiliare e sull’azionario. Se i tassi ipotecari dal 3% vengono ridotti all’1% il reddito disponibile per il proprietario aumenta considerevolmente, riflettendosi sulla valorizzazione finanziaria dell’immobile che resta però sempre quello. Nel frattempo, in modo diseducativo, il risparmio - compreso quello pensionistico - viene mortificato.
Ma come ripagheranno gli Stati i debiti?
Nessuna preoccupazione. Per una parte importante ci pensa l’inflazione, il dollaro che valeva 4 franchi oggi vale 80 centesimi, poi vi sono le rivoluzioni e le guerre.
Potrebbe tornare di moda la soluzione in vigore nell’antichità nelle isole del Pacifico. La moneta era rappresentata da enormi massi di pietra che rimanevano al loro posto ma mutavano proprietario sulla base di accordi verbali. Di grossi massi di pietra siamo tutti ricchi.

