Pensieri di libertà

La gioventù dibatte?

In questi giorni si prepara un concorso cantonale per gli allievi delle scuole medie e medie superiori nel quale i giovani si confrontano su un tema schierandosi, a parole, a favore o contro
Francesca Rigotti
Francesca Rigotti
07.03.2024 06:00

In questi giorni si prepara l’iniziativa «La gioventù dibatte», che si svolgerà nel mese di aprile. Si tratta di un concorso cantonale per gli allievi delle scuole medie e medie superiori nel quale i giovani si confrontano su un tema schierandosi, a parole, a favore o contro. Ecco, ogni volta che questa attività ha luogo sorge in me un senso di disagio, anche perché la partecipazione alla coppia di difensori o di accusatori è estratta a sorte. Secondo i promotori, è educativo alla democrazia sostenere la tesi contraria alle proprie opinioni perché insegna a mettersi nei panni degli altri e a sforzarsi di comprenderne le ragioni.

Sarà. Ma di fronte a queste asserzioni davanti a me si erge sempre in tutta la sua autorità la figura di Socrate e il suo conflitto con i sofisti. Erano questi degli abili oratori che dichiaravano di essere in grado di insegnare a sostenere qualsiasi tesi, al di là della ragione o del torto, della giustizia e dell’ingiustizia. I sofisti facevano un uso spregiudicato della retorica delegittimando il principio di verità: insegnavano sì ai giovani, ma che cosa? A «rendere forte il discorso debole». Si prestavano insomma a istruire, a pagamento, i futuri leader politici a persuadere il pubblico al di là delle loro personali convinzioni. Sentiamo ancora oggi l’eco negativa di questo termine quando parliamo di una persona sofisticata (non naturale, artificiosa) o della sofisticazione alimentare (adulterazione di un prodotto).

Per Socrate invece si trattava di risvegliare nell’animo dei giovani l’amore per il discorso giusto, per il bene e la virtù, per la verità dunque, della quale andava sempre alla ricerca «sapendo di non sapere».

Ora, è certo importante mettersi al posto degli altri e comprenderne le ragioni; ma incoraggiare questo tipo di dibattito nel quale le difendo con tutti gli espedienti retorici di cui sono capace, è veramente educativo? É educazione alla democrazia? E non strizza forse l’occhio alla «post-verità» intesa «in rapporto a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel plasmare l’opinione pubblica rispetto alla leva esercitata sulle emozioni e sulle credenze personali», come diceva la definizione degli Oxford Dictionaries quando elessero, nel 2016, il termine «post-verità» a parola dell’anno?

Per la piccola politica quotidiana questa mia critica può sembrare esagerata. Eppure per la grande politica, ma, diciamocelo, anche per la piccola, è importante impostare le scelte e le direttive partendo sì dal basso ma seguendo un faro, un ideale alto. Avendo un’idea della società giusta che desidero e essendo cosciente dei motivi per i quali la auspico, cercando di renderli espliciti con i buoni argomenti che posso sostenere in coscienza e con intima convinzione.