La magia trasforma il tre in sei

(foto Scolari)
Raffaella Castagnola
30.03.2015 03:00

di RAFFAELLA CASTAGNOLA - Tutti i bambini in età scolare hanno paura del numero tre: è un'insufficienza, un segnale, anche se non gravissimo, di una difficoltà. Il tre è un numero che molti non amano e che si ritiene negativo anche da adulti. I superstiziosi non lo giocano nemmeno al Lotto. Dunque potremmo tremare all'idea che il Dipartimento dell'educazione della cultura e dello sport ha dato al Monte verità e al suo festival degli Eventi letterari una chance di tre anni: un cospicuo finanziamento per una sfida importante.

Una sfida che riguarda la cultura, il territorio e il turismo. Per la cultura si trattava di fondare un festival che potesse riportare l'attenzione sul Monte Verità, memorabile luogo di accoglienza di spiriti liberi e utopici, che nei nostri giorni ha subito un lento declino. Il rilancio del Monte Verità, del suo parco e dei suoi edifici, delle sue collezioni e della sua sede alberghiera faceva parte di un progetto ambizioso, che andava oltre la sua normale attività di centro scientifico e congressuale, già noto a livello internazionale.

La seconda sfida era quella di legare il Monte Verità ad una geografia più ampia, che riunisse Ascona e Locarno in una rete di offerte culturali primaverili. La terza sfida era quella turistica, perché il territorio del Lago Maggiore è amato da una clientela internazionale, che nel periodo primaverile esige occasioni di riflessione e di incontri.

La sfida dei primi tre anni è riuscita, a giudicare dai risultati: grande afflusso di pubblico agli Eventi letterari, sale piene a seguire il premio Nobel Ohran Pamuk (che ha inaugurato il festival leggendo in turco un estratto dal suo romanzo «Il Museo dell'innocenza»), ma grande attenzione anche nei confronti di autrici e autori come Jérôme Ferrari, Barbara Vinken, Thomas Hürlimann, Paolo Di Stefano, Isabelle Sbrissa, alcuni dei tanti nomi della letteratura e della filosofia contemporanea che hanno dibattuto in questi giorni sul tema «Utopia e memoria».

L'utopia è un omaggio al Monte Verità ed è il «fil rouge» che ha accompagnato queste prime tre edizioni, nutrendosi di altre parole emblematiche, come quest'anno la memoria. Gli Eventi letterari da questo punto di vista hanno sicuramente superato la prova del tre, sfatando il mito del numero infausto e riportando il tre alle sue origini magiche, alchemiche e religiose. Un tre – tante sono le edizioni realizzate – che ha il valore culturale di un sei. Un festival che si presta al raddoppio, sicuro dei suoi risultati e degli sponsor privati e fiducioso in quelli pubblici.

Del resto gli Eventi letterari partono in vantaggio rispetto a qualsiasi altro festival: hanno alle spalle la lunga tradizione, l'esperienza e lo staff del festival del cinema e dunque partono già «grandi». Alcune correzioni rispetto alla precedente edizione sono state fatte: attenzione anche all'italiano (l'anno scorso autori di lingua italiana erano stati costretti, loro malgrado, ad esprimersi in tedesco come Fleur Jaeggy, penalizzata nel confronto con altri scrittori) e valorizzazione del territorio: la piazza di Ascona, le proposte di Youtopia, il premio letterario dedicato alla figura di Enrico Filippini, un uomo che ha saputo proporre ponti culturali tra Paesi e lingua, tra culture e discipline.

Quello che ancora non funziona è il nostro «sistema Paese»: e questa è una pecca non degli organizzatori del festival ma di chi fa cultura sul territorio e non capisce che soltanto lavorando in rete si dà forza ai singoli progetti. Stupisce, ad esempio, che proprio la serata dell'inaugurazione degli Eventi letterari di Ascona – con un premio Nobel sul territorio – Bellinzona abbia pensato di inaugurare la sua stagione museale. Che dire? Il ticinese ragiona per divisioni geografiche ed è un gran peccato.

È un vero peccato che non ci sia una programmazione territoriale, favorita almeno dalla consultazione dell'agenda dell'Osservatorio culturale, uno strumento per ora ancora «in erba», rispetto a strutture più articolate presenti in altre realtà, tuttavia utilissimo per evitare sovrapposizioni. Ma non si tratta solo di evitare date già prese da altri, quanto piuttosto di trovare il modo di allargare l'offerta, di creare una dimensione di collaborazione perpetua tra organi culturali. Questo modo di ragionare sembra ancora utopico.

Un'altra utopia riguarda invece la libertà di espressione: siamo in un Paese libero e vogliamo parlare di utopia. Perciò risulta incomprensibile che in questo contesto non sia possibile discutere apertamente del nesso tra letteratura e impegno civile: è sicuramente una delle aspettative mancate con l'ospite di quest'anno Ohran Pamuk, che ha messo alcuni paletti precisi alla conversazione con il direttore artistico Joachim Sartorius. Peccato cedere a queste imposizioni, giustificate dal punto di vista umano, ingiustificate quando si confronta la conversazione ad Ascona con le interviste rilasciate da Pamuk nella Svizzera tedesca e invece non concesse in Ticino.