La protezione delle foreste

Inizio settembre: mentre molti tornano alla routine lavorativa dopo la pausa estiva, per le imprese significa anche affrontare nuove sfide regolatorie. Tra queste, una in particolare sta attirando l’attenzione per portata e conseguenze: il Regolamento (UE) 2023/1115 sulla deforestazione, meglio conosciuto come EUDR. Questa normativa introduce un vincolo senza precedenti tra commercio internazionale e sostenibilità, stabilendo che, a partire dal 30 dicembre 2025, nessun prodotto potrà essere immesso sul mercato europeo se collegato a pratiche di deforestazione o degrado forestale. Per le micro e piccole imprese è prevista una proroga fino al 30 giugno 2026. Il regolamento prende di mira sette materie prime: bovini, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno. Non solo le materie prime, ma anche i loro prodotti derivati, come carne, cioccolato, carta e mobili, rientrano nell’ambito di applicazione. La posta in gioco non è marginale: secondo dati della Commissione europea, circa il 10% della deforestazione mondiale è legata al consumo europeo di queste materie prime. Ogni anno, nel mondo, si stima che si perdono circa 10 milioni di ettari di foreste, una superficie pari alla territorio islandese. Gli operatori economici saranno quindi obbligati a svolgere un rigoroso processo di due diligence, articolato in tre fasi distinte. Innanzitutto, dovranno raccogliere informazioni dettagliate sull’origine dei prodotti, includendo persino la geolocalizzazione precisa delle aree di produzione. In secondo luogo, dovranno valutare il rischio che tali prodotti siano legati a fenomeni di deforestazione. Infine, sarà necessario adottare misure concrete per ridurlo o eliminarlo. In concreto, le imprese dovranno verificare la propria supply chain non solo rispetto ai criteri fissati da Bruxelles, ma anche in base alle leggi locali dei Paesi produttori e agli standard internazionali di riferimento: un sistema di compliance multilivello-olistica. L’interconnessione economica con il mercato europeo rende l’EUDR pienamente rilevante anche per gli operatori elvetici. Qualsiasi impresa che esporti verso l’UE prodotti soggetti al regolamento dovrà rispettarne le disposizioni in modo integrale. I settori più esposti sono quelli legati all’agroalimentare, con particolare riferimento a cacao e caffè che costituiscono il cuore pulsante dell’industria svizzera del cioccolato e delle bevande (la sola Svizzera importa ogni anno approssimativamente oltre 200 mila tonnellate di cacao e nel 2023 ha esportato prodotti agroalimentari per circa 11 miliardi di franchi, più della metà diretti verso l’UE), il comparto legno e carta, e infine il settore chimico-farmaceutico. Le grandi multinazionali svizzere, dotate di strutture di compliance consolidate e di sistemi di tracciabilità sofisticati, saranno in grado di affrontare questa transizione con maggiore agilità. La sfida più significativa si prospetta invece per le piccole e medie imprese esportatrici, chiamate a implementare procedure di audit di filiera, raccogliere dati complessi dai fornitori esteri e rafforzare le proprie competenze legali e gestionali. Il regolamento, dunque, rappresenta senza dubbio un onere di conformità, ma al tempo stesso offre un’opportunità strategica. Le imprese che sapranno adeguarsi tempestivamente potranno consolidare la propria reputazione come partner affidabili e sostenibili, con un accesso privilegiato al mercato europeo. Al contrario, ritardi e inadempienze potrebbero tradursi in esclusioni commerciali e in danni reputazionali difficili da sanare. Il Deforestation Regulation si inserisce in una stagione normativa che vede l’Europa utilizzare con sempre maggiore decisione la leva della sostenibilità, come già avvenuto con la Corporate Sustainability Due Diligence Directive o con il regolamento sulle catene di approvvigionamento libere dal lavoro forzato. Per le imprese svizzere questo passaggio rappresenta una sfida impegnativa, ma anche un’occasione per distinguersi come attori responsabili e competitivi a livello globale. Adeguarsi non significa soltanto rispettare un obbligo imposto da Bruxelles, ma cogliere l’opportunità di rafforzare il valore del “Made in Switzerland” in un mercato che guarda sempre più alla trasparenza e alla tracciabilità come garanzia di qualità.