La stagflazione si avvicina, giù la crescita e su i prezzi

Le conseguenze economiche della guerra in Ucraina rischiano di essere peggiori di quelle della pandemia da COVID-19 dalla quale siamo per il momento usciti. L’inflazione infatti è destinata a salire e la crescita economica a rallentare. Infatti si sta già registrando un balzo del prezzo delle materie prime e contemporaneamente un problema di approvvigionamenti che costringono molte aziende a interrompere la produzione. Basti pensare che in Germania i prezzi alla produzione dell’industria sono aumentati in febbraio del 25,9%. Per le aziende non vi è altra scelta di fermare la produzione, poiché non è più redditizia, oppure di scaricare questi rincari, almeno in parte, sui clienti. Dato che i prezzi al consumo erano già in crescita, questi ulteriori aumenti sono destinati a far salire ulteriormente l’inflazione sia in Europa (dove ha già raggiunto il 5,8%) sia negli Stati Uniti (dove sfiora l’8%) e, quindi, a tagliare il potere d’acquisto della popolazione. Anche la Svizzera non ne sarà immune, anche se sarà toccata molto meno, poiché il rincaro si è finora limitato all’1,6%, e perché il rafforzamento del franco riduce l’impatto dell’aumento dei prezzi dei beni importati. La risposta delle autorità rispetto a questi rischi non è univoca. Le autorità monetarie americane hanno deciso di aumentare i tassi di interesse e di ridurre la stampa di nuova moneta, ossia di invertire la politica avviata dopo la crisi finanziaria del 2008 che ha portato all’aumento dell’inflazione. Il risultato di questa scelta sarà tra pochi mesi una brusca frenata della crescita e il rischio di una nuova crisi finanziaria a causa dell’enorme indebitamento delle aziende, della bolla esistente nei mercati finanziari e dei prezzi in rialzo degli investimenti in attività speculative. In Europa la risposta appare diversa da quella americana e assomiglia molto alle scelte fatte durante la pandemia. Ciò vuol dire interventi statali per calmierare i prezzi energetici, misure a favore dei redditi deboli e dei settori più colpiti dai rincari dei prezzi e massicci investimenti pubblici per ridurre la dipendenza dal gas e dal petrolio russi e quindi per sostenere la crescita. La Banca centrale europea lascia trasparire che non intende per il momento alzare il costo del denaro e vuole ridurre la quantità di moneta in circolazione. L’insieme di queste misure è più adeguato alla realtà attuale, anche se l’ulteriore aumento dell’indebitamento pubblico potrebbe portare a notevoli difficoltà per i Paesi deboli dell’area euro (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo) a causa dell’aumento del costo del finanziamento dei loro debiti pubblici. La nostra Banca nazionale starà a guardare e cercherà di evitare un eccessivo rafforzamento del franco che danneggerebbe le nostre esportazioni e la nostra industria turistica. Dunque siamo alla vigilia di una stagflazione, ossia ad una frenata della crescita economica e contemporaneamente all’aumento del costo della vita, come negli anni Settanta.
La ferocia della guerra in Ucraina e quindi la possibilità di nuove sanzioni sia contro la Russia sia contro i Paesi che non hanno adottato le misure occidentali rende plausibile la spaccatura del sistema finanziario internazionale, ossia del vero e maggiore successo della globalizzazione. Ed infatti l’efficacia delle sanzioni si fonda sul ruolo centrale che gioca il dollaro americano sui pagamenti internazionali e quindi sui flussi commerciali e finanziari. Ovviamente un’estensione delle sanzioni spingerebbe questi Paesi a usare altre valute e altri strumenti per evitare, ad esempio, il sistema dei pagamenti SWIFT. Questa eventualità segnerebbe effettivamente la fine della globalizzazione e metterebbe in pericolo la supremazia economica e finanziaria statunitense. Essa sarebbe talmente dirompente da cambiare radicalmente il mondo che conoscevamo prima dell’invasione dell’Ucraina e da avvicinarci ad una nuova guerra fredda.