La stangata: tra negoziato e poche opportunità

Finalmente, dopo lunghi mesi di attesa, giovedì sera abbiamo conosciuto gli elementi principali dell’intesa tra Stati Uniti e Regno Unito. Si tratta del primo accordo commerciale negoziato dall’amministrazione americana con un altro Paese. Il Regno Unito è stato scelto perché alleato da oltre un secolo. Inoltre, la sua struttura economica e la bilancia commerciale equilibrata rendevano l’intesa relativamente agevole.
Il nuovo accordo prevede una tariffa doganale minima del 10%, con poche eccezioni per settori specifici. I contraenti inoltre si impegnano a ridurre le barriere di altro tipo, che ostacolano gli scambi commerciali. Naturalmente i numeri sono certi, le iniziative per ridurre gli altri ostacoli sono da definire. Sarà insidioso trovare intese sugli ostacoli burocratici e le regolamentazioni. In alcuni casi, come i prodotti agricoli, temo che sarà politicamente impossibile.
Il maggior pregio dell’accordo è la rimozione dell’incertezza, che danneggia sempre l’economia, perché induce a rinviare gli investimenti e a ritardare i consumi. Il livello previsto per i dazi doganali in futuro è molto più alto del livello prevalente fino all’anno scorso. Dazi più alti riducono la produttività globale e scoraggiano i consumi. In breve, il mondo sarà più povero.
L’obiettivo degli Stati Uniti è il raggiungimento di una bilancia commerciale equilibrata, sviluppando la propria industria manifatturiera e cercando di limitare la propria perdita economica. A questo fine, alcune iniziative americane, parallele all’accordo, incoraggiano le aziende straniere a trasferire le loro produzioni negli Stati Uniti, dove potranno competere senza dovere pagare dazi sui loro prodotti. Questi trasferimenti richiederanno investimenti molto ingenti, che saranno finanziati dalle aziende stesse, pur di mantenere un accesso competitivo al grande mercato americano. In sintesi, per il resto del mondo si profila una doppia stangata, ricchezza minore e trasferimento di parte di essa in America. Gli altri Stati non hanno il potere di mercato per opporsi efficacemente a queste iniziative. Presumibilmente dovranno quindi, dopo resistenze di carattere diplomatico o legale, accettare queste proposte americane.
La Svizzera, in particolare, non avrebbe grandi difficoltà ad aumentare il numero di fabbriche e le proprie aziende che operano negli Stati Uniti, ma il riequilibrio della bilancia commerciale sembra molto problematico. Dovrà inoltre discutere la propria politica monetaria, che gli americani guardano con sospetto.
Queste scelte saranno particolarmente complesse per l’Unione europea. I suoi ventisette Stati membri sono molto eterogenei. Questo rende difficile definire le priorità economiche da proteggere nei loro negoziati con gli Stati Uniti, dai quali dipendono fortemente per la difesa e le tecnologie. Si profila pertanto un negoziato molto difficile, con poche opportunità di limitare le perdite economiche per i grandi Paesi esportatori.