La Svizzera resti saggia

Una canzone popolare del 1966 di Adriano Celentano iniziava così: «Prendo il giornale /e leggo che/ di giusti al mondo non ce n’è. / Come mai, il mondo è così brutto? / Sì! Siamo stati / noi a rovinare /questo capolavoro/ sospeso nel cielo!». Non c’erano ancora le diffusioni televisive che oggi ci portano su tutti i fronti, da quelli bellici a quelli economici ma per fortuna anche sulle cronache confortevoli. Due guerre in corso non sono indizio di virtù civile. Continuando a vedere le sofferenze e le distruzioni sembra che l’animo umano sia vaccinato contro il male. Ogni paese, tranne chi ha saputo edificare con virtù la propria storia e il proprio presente, ha le sue noie e qualche ferita. Crescono, anche in Stati di pace, una scarsa fiducia nella sopravvivenza dei valori civili, un deterioramento del senso di responsabilità collettiva e individuale, lo scetticismo sull’azione dello Stato, la mancanza di fiducia nelle autorità giudiziarie e verso le polizie e l’indebolimento della forza dei valori morali. Questi sembrano essere i segni distintivi dell’uomo comune, che si avvertono leggendo, osservando, analizzando. Se da una parte trionfano i nuovi egoismi, dovuti alla pessima divulgazione dei principi liberisti, dall’altra il vecchio spiritaccio liberale dello scetticismo verso l’azione dello Stato sembra dilatarsi verso la diffidenza. In Europa c’è un malessere che percuote la brocca d’acqua delle nostre certezze, del nostro benessere borghese tradotto in opere architettoniche e urbanistiche magnificenti seppur al loro interno nascondono anche crescenti solitudini. Il passato prossimo aveva analoghe angustie. Non credo che l’Europa degli Anni Trenta fosse la trasognata immagine della fanciulla castissima Europa rapita da Giove nella mitologia. L’Europa, per la sua ragion d’essere che è nel perseguimento continuo della civiltà, ha sempre fatto fronte ai guai che si era creata, pagando prezzi elevatissimi per uscirne. Un’intelligente misura di risparmio sociale poteva essere la prevenzione, ma nessuno ha la sfera in cui leggere le «evoluzioni» e i presupposti si traducono in catastrofi spesso con una rapidità sconcertante. Alcuni sociologi anni or sono avevano previsto i mali correnti, con il conseguente deterioramento dei valori, dei costumi e delle abitudini. L’opulenza borghese euro-occidentale assomiglia un po’ alla solitudine del satiro, per citare un titolo di quel pessimista letterato - e a modo suo sociologo - che fu Ennio Flaiano. Dentro la voglia e la possibilità di fare tanto, tantissimo e troppo, c’è l’insidia dell’appiattimento sotto la morsa soverchiante del profitto ad ogni costo. Ecco allora che l’età delle incertezze degli anni ottanta è divenuta l’età delle paure. Paure non solo di non mangiare anche il dessert ma paura di non esserci, paura di mancare gli orari del transito dei convogli verso la storia e il terrore di essere nel novero degli esclusi. E da qui l’irruenza, il serpeggiare crescente di farsi giustizia in qualche modo da soli là dove le istituzioni e i governi sembrano non poterla o volerla fare. Il dovere civico e sociale di pagare le tasse per alcuni è accortezza nel sottrarre. C’è un malessere che va dalle febbri violente delle periferie alla febbre degli stadi che rigurgitano di violenza, che si manifesta sia fischiando l’inno nazionale simbolo di un paese, sia aggredendo e vessando chi sportivamente si gioca un posto alla trattoria della gloria calcistica. È l’età dei contrasti, delle incertezze, degli scontri latenti, della all’erta per ogni rametto che si muove oltre il giardino. Nel particolare come nel generale ci sono liti crescenti. Di fronte a sbevazzanti litigiosi in un parcheggio, con arroganza un tale raccomandava al vicino di casa di non rivolgersi alle istituzioni perché ne sarebbe andata della buona immagine e della pace del quartiere. Poi se magari qualche tizio da manicomio o qualche infrangileggi ben protetti dalle mura domestiche maltrattano una bambina, pur di avere la pace è meglio non sentire. La polizia, la magistratura, lo Stato, per alcuni sono entità nemiche. È il senso civico che occorre ristabilire in alcuni paesi. Non solo il rinnovato uso della ragione e dell’umanesimo che portino alla valorizzazione e al rispetto dell’uomo. Nei quartieri metropolitani, come nel mondo, si ha l’impressione invece che alla fine domini chi riesce a fare più paura. E allora non lamentiamoci se fra poco mille telecamere ci osserveranno dall’alba all’alba successiva. La Svizzera, nonostante i suoi problemi, è ancora uno dei migliori mondi possibili. Lo resti.