La tassa divide e le parole infiammano

Tassa di collegamento sì o tassa di collegamento no? Il dibattito lanciato dal Governo negli anni 2014-2015, cui ha fatto seguito un sì popolare nella misura del 50,7% (1.445 i voti di scarto), il via libera del Tribunale federale nel pieno della pandemia e la decisione del Consiglio di Stato di prelevare il balzello dal 2025, torna ai piedi della scala. L’iniziativa popolare che mira a dare un colpo di spugna è riuscita. A meno di colpi di scena torneremo pertanto alle urne, sicuramente dopo le elezioni cantonali, ma prima della metà del 2024, quando l’Esecutivo sarà chiamato ad abbozzare il preventivo che contemplerebbe l’incasso di 18 milioni di franchi. Le firme ci sono, l’esatto numero non è ancora noto, ma il comitato guidato dall’UDC e nel quale abilmente sono stati solleticati e inseriti esponenti di primo piano del PLR e de Il Centro/PPD, ieri ha annunciato che le sottoscrizioni sono all’incirca il doppio di quelle necessarie, pressappoco 14.000. Non tante quante quelle 24.080 raccolte dal referendum di allora, ma comunque si tratta di un numero considerevole di sottoscrizioni. Ancorché l’alto numero di firme, come visto in passato, non significhi ancora la riuscita dell’iniziativa fresca fresca, con intendimento abrogativo.
La Tassa di collegamento è da sempre la principale pietra d’inciampo nei rapporti tra i «leghisti/zalisti» e l’UDC, concretamente tra il direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali e il presidente democentrista Piero Marchesi. A minare ulteriormente i già tesi rapporti tra le due forze e i due protagonisti di questa campagna si è poi aggiunta la caduta di stile del secondo candidato UDC nella lista con la Lega, Paolo Pamini che ha dapprima definito il suo partito «con i coglioni» (quale altro non è tale?) e non con «due coglionazzi». La campagna elettorale conosce così un’impennata di virilità e di testosterone. Pamini si è spiegato così: «Era autoironia» (dunque ha voluto dire di non essere un coglionazzo? Ma chi lo aveva ipotizzato se doveva essere una risposta ironica ed autoironica?). Per poi in seguito puntualizzare che non voleva essere un attacco a Zali e Norman Gobbi. Anche se istituzionalmente occorre concedergli il beneficio della buona fede (sottolineando la gratuita e inutile volgarità), va aggiunto che ha manifestato l’intenzione di comunicare personalmente la cosa ai due leghisti per chiudere quello che considera un equivoco. Riconoscere la buona fede non significa ancora essere convinti che le cose stiano nei termini indicati in quella che appare come una vera e propria manovra (mal)destra. Detto in altri termini, un tardivo pentimento. Solo la campagna delle prossime settimane ci dirà se e in che misura la questione verrà digerita dal fronte leghista che si sente sotto attacco dai compagni di lista e che, di fronte a cotanta paura di perdere uno dei due seggi, ha dapprima schierato Boris Bignasca e poi ha coniato uno slogan che non ha neppure lontanamente il sapore viamontebogliesco: «Continuità». La Lega che voleva cambiare a stravolgere tutto ora punta alla continuità dell’esistente? O pensava unicamente alle due poltrone della coppia Gobbi-Zali?
Tornando al concreto tema di acceso confronto politico sul fronte destra, ben venga un argomento per animare questa piatta campagna, per tentare di fare in modo che quale fil rouge fino al 2 aprile non restino gli epiteti dello scorso weekend. Poi, beninteso, rivotare su quanto abbiamo già votato e non ancora applicato, appare solo una forzatura politica. Forzata almeno quanto questa tassa punitiva, intesa a fare cassetta e a garantire entrate pari a 18 milioni di franchi alle casse del Cantone. Una tassa antisociale che chiama sin d’ora all’appello la sinistra che afferma di voler sostenere il ceto medio: il PS ha ora l’occasione di dimostrarlo con i fatti. Chi si muove dalle valli per raggiungere in auto il proprio posto di lavoro non lo fa per sfizio, è un cittadino che paga già imposte e tasse a sufficienza, e spesso appartiene a quel ceto medio che non beneficia di sussidi, non li pretende neppure, ma chiede solo che lo Stato non si accanisca su di lui.
Chissà cosa accadrà entro la metà del 2024. Sognare non costa nulla. E allora continuiamo a sperare che dall’alto, qualcuno di particolarmente saggio, riconosca l’inefficacia pratica tesa al lodevole (quanto illusorio) apporto ecologistico e nel contempo ammetta l’unico inconfessabile scopo: fare cassetta. E, con un colpo di spugna cancelli la tassa scongiurando nuove prove di forza.