La tela dei sogni
Sovente diciamo che il cinema ci aiuta a sognare. Una banalità. Che però, come tutte le banalità, perversamente, insistentemente, nasconde anche un fondo di verità. Quando Mohammad Rasoulof, domenica sera, ci ha raggiunto sul palco della piazza Grande, abbiamo vissuto un momento indimenticabile, unico - sebbene dire unico, nel contesto di un’esperienza qual è il Festival, potrebbe sembrare un po’ autopromozionale.
E tuttavia, provate a pensare per un istante al tragitto che quest’uomo è stato costretto a compiere: un avversario del regime teocratico iraniano, una persona che ha scontato una pena detentiva severissima, che è stata minacciata di morte, che è riuscita a fuggire miracolosamente dal suo Paese, a raggiungere l’Europa - dove adesso vive - e che a tutt’oggi non ha uno statuto di identità. Una persona legata profondamente alla poesia e all’arte dell’Iran, a luoghi che conosce intimamente ma che è stato costretto ad abbandonare perché in quegli stessi luoghi gli era stato vietato di lavorare, di esprimersi, di far conoscere le proprie storie (nessun film di Rasoulof è mai stato distribuito nell’Iran degli ayatollah). Vedere la piazza Grande che si alza in piedi per tributargli un lunghissimo applauso mette in discussione tutto quello che solitamente si dice sul pubblico: ovvero, che non ha la pazienza, che non vuole film lunghi, che non è pronto a un determinato cinema.
C’erano 8 mila persone, domenica sera, in piazza. E tutte erano in piedi quando Mohammad Rasoulof ha ripetuto di voler continuare a fare cinema per tenere vivo il «sogno della libertà».
Allora, in fondo, il cinema è proprio questo: una tela dei sogni. Una sorta di mappa dell’utopia, della quale ha parlato a Locarno anche Alfonso Cuarón in una magnifica masterclass moderata da Manlio Gomarasca e durata quasi due ore. Cuarón ha raccontato le difficoltà che persino un regista della sua statura incontra e come, nonostante tutto, lui continui a mantenere la propria indipendenza, la propria visione del cinema, a dispetto delle moltissime pressioni e delle richieste che un regista della sua caratura deve subire di continuo.
La libertà di Rasoulof, la resistenza di Cuarón rispetto al sistema nel quale il regista messicano, comunque, si afferma sempre come uno dei creatori più amati, in qualche modo dialogano con la pulsione onirica del cinema di Stan Brakhage, il regista forse più importante del cinema sperimentale del ’900, morto a 80 anni nel 2003 e al quale abbiamo dedicato l’omaggio della sezione Histoire(s) du Cinéma.
Rasoulof, Cuarón e Brakhage sono universi lontanissimi tra loro, eppure uniti da questa vocazione al sogno. Perché il cinema, alla fine, è certamente una bussola per orientarsi nel mondo, ma è anche una bussola utile a entrare nei sogni senza necessariamente perdersi.