Il divano orientale

La tragedia e i suoi figli

I mesi di luglio e agosto 2024 sono da considerarsi i più emblematici della storia recente della Palestina: ecco perché
Marco Alloni
Marco Alloni
31.07.2025 06:00

I mesi di luglio e agosto 2024 sono da considerarsi i più emblematici della storia recente della Palestina. Non perché durante quei due mesi sia ricorso un particolare anniversario, ma perché a partire dal 7 luglio 2024 sono trascorsi esattamente nove mesi dall’inizio della mattanza che, dopo il feroce attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, sta colpendo la striscia di Gaza. E cosa sono nove mesi? Sono il tempo necessario e naturale, il tempo biologico, per la nascita di un bambino. E qualora, durante il mese di luglio o agosto 2024, è nato in Palestina un bambino o una bambina, abbiamo avuto conferma, quasi poeticamente, che il loro concepimento è avvenuto immediatamente a ridosso della tragedia. Potremo allora considerarlo un evento umano di straordinaria importanza: essendo il fatto di concepire un figlio immediatamente dopo il 7 ottobre 2023 una sorta di miracolo dell’umano. Chi è nato, infatti, tra il luglio e l’agosto 2024? Colui o colei che può, a giusto titolo, essere chiamato, parafrasando Salman Rushdie, il figlio della tragedia. Ed essere figli di una tragedia significa essere figli di un miracolo. Ci vorrebbe però un romanziere particolarmente sopraffino per descrivere luoghi, modalità, sentimenti, colori e ambienti che accompagnano l’accoppiamento di due palestinesi - diciamo di una coppia di novelli sposi di Gaza - all’inizio della strage. Dove si trovavano, in quel tragico ottobre 2023 o immediatamente dopo, per trovare il tempo, la forza, il coraggio, la disperazione di unirsi nell’amore? Conoscere i loro sentimenti in quel lasso di tempo, durante quel prodigioso amplesso tra le rovine, sapere in quale luogo e con quale spirito si abbracciarono nell’amore, sarebbe forse la migliore risorsa morale per capire l’animo palestinese. Con quali parole, con quali gesti, con quali pensieri, di fronte a un popolo che sta per essere colpito da un ciclone senza precedenti, un uomo e una donna decidono di giocare l’antica ed estrema carta della procreazione? Se lo sapessimo, avremmo probabilmente raggiunto il cuore più intimo dello spirito di un popolo. E sapremmo, in modo imperativo, cosa significa pace. Significa riportare vita dove regna la morte. E dare la vita nel momento in cui ci si unisce in vista della nascita di un bambino significa, semplicemente, prospettare per il mondo - foss’anche nella disperazione e nella tragedia - la possibilità che la pace sia un atto umano e non solo una parola politica. A quei bambini, un anno dopo la nascita, il compito di farsi gigli di vita tra le macerie. E a tutti noi quello di conferire a tutti i bambini di tutte le confessioni il ruolo di depositari di pace.

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