La vedova, l'archivista e il tempio

di RAFFAELLA CASTAGNOLA - Un anno fa sono stata ad un funerale a Ginevra. Questo non fa notizia, ma quel ricordo e alcuni avvenimenti successivi favoriscono una riflessione di politica culturale. In quell?occasione ho rivisto amici provenienti da Stati diversi, studiosi del medesimo tema, che ci aveva avvicinati ad una collezione privata, messa generosamente a disposizione della comunità scientifica dal defunto. Abbiamo così deciso di riunirci virtualmente ancora una volta attraverso una pubblicazione in onore del collezionista, affrontando tutti i suoi campi di interesse. Ne abbiamo parlato alla vedova, che non ha dimostrato attenzione al progetto. Era infatti già ben intenzionata alla vendita di tutto quanto il marito aveva riunito lungo una vita, a prezzo di qualche sacrificio economico e di vacanze organizzate in funzione delle aste e dell?arricchimento di un fondo omogeneo. Al funerale erano curiosamente presenti alcuni esponenti delle più famose case d?asta, pronti a contendersi il bottino e a discuterne il prezzo. È stata così velocemente dispersa una bella raccolta. Il volume è uscito in queste settimane a nostre spese, senza nemmeno un grazie della vedova, che ha però preteso una copia omaggio. Magra consolazione è il pensare che da questa storiella ne abbiano tratto vantaggio altri collezionisti e che i materiali siano ancora in circolazione, dunque disponibili per altre costituende collezioni.Il grande Pirandello ci ha insegnato a leggere le vicende umane con occhiali sempre differenti e a mettere in evidenza inediti aspetti di una vicenda confrontandola con altre di segno opposto. Rovesciamo allora la medaglia per parlare di una questione di casa nostra. Ma prima una premessa: sono una sostenitrice degli archivi pubblici, perché ritengo che in quei luoghi si valorizzino anche le più belle collezioni private. Ho dunque favorito, in qualche occasione, il lascito, il prestito o il deposito temporaneo di materiali presso le istituzioni. Mi sono però accorta che questa scelta a tutto campo poteva danneggiare le persone consigliate, quando la sede era inappropriata. Perché? Perché l?archivista alla quale venivano temporaneamente affidati o consegnati i materiali aveva poi rivelato un unico maniacale desiderio: quello della schedatura, dell?atto di archiviazione. Mettere un timbro ufficiale, classificare un documento, infilarlo in una busta antitarme e infine seppellirlo, era (ed è) l?obiettivo del suo giornaliero lavoro. Guai però indicare studiosi che vadano poi a disturbare la quiete tombale dell?archivio, guai a proporre mostre con i documenti e soprattutto guai ad inviare studenti universitari a consultare i materiali, a studiarli, a renderli pubblici attraverso tesi di laurea o di dottorato. L?archivista si sente autorizzata ad avere la supervisione su tutto e a decidere chi e come accede al tempio della cultura, anche se dall?alto della sua direzione arrivano regolari sollecitazioni in favore di un?apertura verso il mondo.Per fortuna la comunità scientifica ha individuato da tempo queste zone «fredde», insensibili al mandato che lo Stato affida ai luoghi della sua memoria storica e culturale, ossia quello di tessere una rete tra università, biblioteche, altri archivi, e tra gli studiosi di lungo corso e giovani generazioni. Gli archivi sono infatti un punto di riferimento, un luogo di ricerca, ma anche un luogo vitale, che avvicina alla cultura, in tutte le sue manifestazioni, anche il semplice lettore, il ricercatore alle prime armi, ma che può invogliare il collezionista a depositare le sue opere. In Svizzera per la letteratura e per le sue carte contemporanee va citato il positivo esempio dell?Archivio di Berna, che non solo ospita importanti materiali di scrittori elvetici, ma organizza mostre, incontri, letture, e pubblica una bella rivista come «Quarto», distribuita a livello svizzero anche nelle scuole, università, associazioni, rivista internazionalmente riconosciuta e riconoscibile. Non ho ancora conosciuto vedovi che disperdono collezioni, e nemmeno archivisti che non sappiano gestire bene il loro patrimonio: dunque ho potuto raccontare le due storie solo con protagoniste al femminile. Se ne possono dedurre considerazioni sulla gestione delle cose private e pubbliche. Riguardo a queste ultime è inquietante la pericolosità di alcune nomine – come quella di responsabile di un archivio pubblico –, che valgono fino a fine carriera senza mai una verifica. Alcune posizioni di prestigio invece di favorire l?apertura della cultura al mondo riescono a perpetuare la concezione di una cultura come nicchia per privilegiati e l?idea dell?archivio come luogo inutile. Un?altra riflessione riguarda la collaborazione fra pubblico e privato, perché le collezioni si salvano dalla dispersione solo quando il luogo ospitante ne assicura un degno futuro e la valorizzazione. Per un?analisi tutta privata delle cose qui sopra raccontate lascio invece a voi la scelta tra la vedova allegra e la cupa archivista.