Le elezioni, i pontieri e i trasformisti

IL COMMENTO DI FERRUCCIO DE BORTOLI
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
22.02.2018 06:00

DI FERRUCCIO DE BORTOLI - Un'elezione non dovrebbe mai preoccupare. È l'espressione intima della democrazia, se vogliamo la sua festa. Eppure, ultimamente, ogni volta che si vota nei Paesi dell'Unione europea - dal referendum britannico alle politiche olandesi e tedesche, alle presidenziali francesi - salgono ansia e preoccupazione. Si teme la protesta, la rottura. Al punto che qualcuno preferirebbe, se non altro per scongiurare scossoni sui mercati, che si andasse avanti senza sentire il polso degli elettori. Ovviamente nessuno lo dice, ma il sentimento nell'establishment dell'Unione è di una certa insofferenza per il continuo ricorso alle urne, peraltro naturale, con 27 Paesi membri, Londra esclusa. L'elettorato sente questo fastidio. Cresce il distacco tra istituzioni e popolo. Ma è pur vero, al contrario, che la saggezza spesso prevale, nonostante tendenze centrifughe antisistema di vario tipo. Forse non nel referendum britannico, ma in Olanda, in Francia e nella stessa Germania i responsi delle urne hanno smentito le ipotesi peggiori, gli scenari più preoccupanti per la tenuta dell'Unione e della moneta unica. Ora l'appuntamento che inquieta le istituzioni e i mercati è il voto italiano del 4 marzo. Data che coincide con una importante votazione svizzera, quella sulla «No Billag». In Italia, a pochi giorni dall'apertura delle urne, il canone RAI è stato cancellato per chi ha più di 75 anni, dopo averlo messo un anno fa nella bolletta elettrica per farlo pagare a tutti, o quasi. Ogni sospetto di una scelta di natura squisitamente elettorale è puramente casuale. Queste elezioni italiane vedono contrapporsi sostanzialmente tre blocchi. Il movimento Cinquestelle che, secondo i sondaggi, è il primo partito; l'alleanza di centrodestra Berlusconi-Salvini-Meloni vicina nelle stime alla maggioranza assoluta; il Partito democratico di Renzi, che ha sofferto una scissione a sinistra (Liberi e uguali), con i suoi alleati minori, in particolare Emma Bonino. La nuova legge elettorale (il «Rosatellum») premia la capacità di allearsi nei collegi uninominali con i quali viene eletto un terzo dei deputati e senatori. I restanti due terzi, nel proporzionale, sono imposti dai partiti con i listini bloccati. Un successo dei Cinquestelle è altamente improbabile come la loro predisposizione a stringere alleanze. Insomma, un voto fortemente antisistema è escluso. L'alleanza di centrodestra è eterogenea. Le posizioni di Forza Italia spesso non coincidono con quelle della Lega, ormai nazionalista e più vicina alla destra di Giorgia Meloni che al federalismo del suo fondatore Bossi. Chi avrà più voti tra gli alleati di centrodestra, secondo gli accordi, esprimerà il premier. Berlusconi non è candidabile, per le note vicende giudiziarie, e pensa (ma non lo ha ancora detto) all'attuale presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, molto apprezzato a Bruxelles. Lo scenario di un eventuale Governo di larghe (o strette) intese dipenderà dai numeri. E non dispiace, sotto sotto, né a Renzi né a Berlusconi, né agli scissionisti dello stesso PD. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, la cui
popolarità è in crescita, potrebbe gestire con sapienza un'eventuale fase transitoria, ma dipenderà dal risultato del PD. Un «Governo del presidente» o formula simile, escogitato da Mattarella, con un programma limitato (e forse il rifacimento della legge elettorale), in sintonia con l'Europa già pronta a chiedere a un nuovo Esecutivo italiano un programma di contenimento del debito pubblico e una più che probabile manovra correttiva sui conti. Insomma, lo scenario dell'instabilità politica, alla quale peraltro il Paese è storicamente abituato, non dovrebbe spaventare. Se non vincesse nessuno poi, i programmi più audaci, sul versante della spesa pubblica, rimarrebbero nel cassetto. Mobilitano cifre così esorbitanti da essere già di per sé poco credibili. Incuriosisce, nella campagna elettorale italiana, l'agitarsi di leader politici costretti a sostenere posizioni che sanno già che dovranno rivedere, e forse ribaltare, dopo il voto. Chiunque governerà, dovrà fare i conti con l'Europa e giustificarsi, con i suoi elettori, per le promesse mancate. La realtà dei numeri di bilancio è momentaneamente sospesa. Si possono sognare, ancora per pochi giorni, redditi supplementari e immaginifiche torte da dividere. Non mancheranno, dopo il voto, i pontieri, abbonderanno i trasformisti. Durante la prima Repubblica, nella quale i Governi cambiavano di frequente ma sempre (fino a Spadolini nel 1981) a guida democristiana, si inventò anche la formula della non sfiducia. Dove la stabilità è precaria abbonda la fantasia costituzionale. Il 4 marzo passerà. Nello stesso giorno, in Germania, si saprà l'esito della consultazione fra i 460 mila iscritti della SPD. Il sì o il no alla grande coalizione tedesca da cui dipende il futuro immediato dell'Unione europea.