Le telefonate a Dick Marty

Da una telefonata possono nascere tante cose. Ma può anche finire tutto. Si può essere richiamati in Ticino a fare il procuratore pubblico (1975), mentre da ricercatore in Germania si pensava a una carriera accademica. Si può essere sollecitati a fare il consigliere di Stato (1989), non essendo neppure fra i subentranti nella lista di partito di due anni prima. Si può essere invitati ad andare a Berna al Consiglio degli Stati (1995) e accettare perché un po’ stufo della politica ticinese, oltre che desideroso di partecipare a quella… europea e internazionale (al Consiglio d’Europa dal 1998). Ma si può anche sentirsi dire dal capo della polizia che c’è chi è più che determinato a farti fuori (2020) e che da subito dovrai tenerti un po’ di poliziotti in casa e quali discreti accompagnatori nelle tue solitarie passeggiate nei boschi del Malcantone. Oppure, e qui finisce tutto, che la malattia è di quelle che non perdonano e che ti lasciano poco tempo da vivere (2023).
Come già in passato, anche questa volta Dick Marty decide che la scrittura sarà un’ottima terapia e quindi si immerge in un nuovo libro: «Verità irriverenti. Riflessioni di un magistrato sotto scorta» (Edizioni Casagrande). E ora Marty non si schermisce più come aveva fatto in passato con l’editore romando Favre, che a lungo aveva inutilmente insistito per fargli scrivere delle tante vicende di spessore che lo avevano visto protagonista. Anche allora sarebbe stata una malattia, per fortuna di quelle che perdonano, a fargli cambiare idea e a convincerlo che poteva essere uno scrittore. Che sa scrivere bene e in maniera avvincente, non soltanto grazie alla sostanza dei ricchi contenuti di una vita spericolata, ma pure grazie a chiarezza, capacità di sintesi e abilità di muoversi fra diversi registri linguistici. C’è, tanto per dire, il «quattröcc e cinq cul böcc» (del bimbo che non si autocommisera pur con i brutti occhiali di tanto tempo fa) e la riflessione metalinguistica su «disruption» o sui suoi otto «abiatici» («ma quanto è brutto questo sostantivo») per i quali è valsa la pena vivere. Ma, oltre al nostro dialetto, c’è un’ottima conoscenza delle lingue, a partire dal suo bilinguismo italiano-francese, che nel Ticino dell’immediato dopoguerra ha dato al giovanissimo Dick una dimensione internazionale tutta sua. Curioso l’undicenne che alla fine delle elementari si interessa alla rivolta ungherese o alla spedizione franco-britannica al canale di Suez, ma soprattutto colpisce la sua attenzione alla politica francese, dalla guerra d’Algeria all’ammirazione per De Gaulle e per le sue conferenze stampa, ascoltate a fatica da una radio gracchiante. È solo l’inizio di un lungo percorso dedicato a cercare di capire davvero ciò che capita agli altri nel mondo. È impressionante ripercorrere grazie ai suoi libri, e immaginare per quel che si può, tutte le vicende delicate che Marty ha dovuto affrontare nel corso della sua vita. Sono davvero tante, soprattutto perché Marty è stato prima di tutto un uomo coraggioso. Un coraggio che quasi spaventa il povero lettore, il quale più volte deve confessare a sé stesso che in un’occasione del genere si sarebbe probabilmente voltato dall’altra parte. Mentre pare invece che lui i fastidi e certe asperità della vita se li vada quasi a cercare. In sostanza, leggendo questo libro spesso ci si domanda «ma chi gliel’ha fatto fare?». La risposta che si impone, semplificata al massimo, è: il senso del dovere per un mondo migliore.
Ho avuto l’opportunità di conoscere Dick Marty in due occasioni, nel 2016 e nel 2021, entrambe le volte per la preparazione di un dibattito a due. Fra Marty e Jacques Baud (brillante colonnello dell’esercito svizzero nonché autorevole membro dei servizi segreti) la prima volta, fra Marty e Mario Botta la seconda. In entrambi i casi mi hanno colpito la profondità di pensiero e il rigore di Dick Marty che, dopo aver dato la propria disponibilità, non si è risparmiato nella preparazione degli incontri, con tutta una serie di suggerimenti originali e utilissimi. Nel dibattito con Botta, l’essenza del suo contributo si chiedeva se la democrazia è veramente in grado di far fronte alle grandi sfide epocali, quali la scomparsa della biodiversità, il riscaldamento climatico, le pandemie o la gestione di megalopoli. Mentre nel dibattito con Jacques Baud si trattava di ragionare sulla domanda «Edward Snowden: eroe o traditore?»
Chi è interessato ai due incontri può andare su www.moebiuslugano.ch, dove troverà ad accoglierlo una originale e inusitata fotografia del 2016 di un Dick Marty sorridente e in gran forma. Ricordiamolo così, oppure più puntualmente con una sua emblematica affermazione di allora su Snowden, ormai oggi da dieci anni in Russia sotto la protezione del Cremlino: «Io lo considero come un valoroso soldato della democrazia». Si trovano parecchie affermazioni nette come questa nel libro e in alcuni casi si tratta di aspri rimproveri rivolti a membri del suo stesso partito. Ma ce n’è per molti, senza sconti e quasi sempre con nomi e cognomi. A questo proposito al libro manca un indice dei nomi, che si scoprono però facilmente nelle 132 agili pagine da leggere con la giusta curiosità e attenzione. Un doveroso omaggio a un uomo di grande valore che nella sua vita non ha fatto sconti a nessuno, tanto meno a sé stesso.