L'educazione dei figli tra famiglia e scuola

L’educazione dei figli è innanzitutto in capo ai loro genitori o allo Stato? Un interessante dibattito, che riguarda tale questione, è recentemente scoppiato nel Parlamento italiano. Il Governo ha presentato alla Camera un disegno di legge sull’«educazione sessuale ed affettiva» nelle scuole in cui viene stabilito che corsi extra-curriculari su tale argomento possono venire proposti solo con il consenso scritto e preventivo dei genitori degli studenti, e che il via libera dei genitori va acquisito «previa messa a disposizione, per opportuna visione, del materiale didattico» che si intende utilizzare. Insomma alle famiglie bisogna fornire tutto il necessario per comprendere come tali temi verranno trattati. Beninteso nei vigenti programmi scolastici italiani è già prevista un’adeguata formazione sul sesso in senso biologico: sulle differenze sessuali, sullo sviluppo puberale e sui rischi relativi alle malattie trasmesse sessualmente. Tutto questo rientra nell’ambito dell’istruzione che è il compito storicamente assegnato alla scuola in Italia, come risulta evidente anche dal nome dato al ministero che se ne occupa, detto non a caso della Pubblica Istruzione e non dell’Educazione Nazionale come ad esempio in Francia. Non rientra invece nei programmi scolastici l’educazione all’affettività, che appunto attiene propriamente all’educazione, anche se nelle linee-guida dell’insegnamento di educazione civica si parla adesso anche di educazione alle relazioni.
Da qualche anno in qua accade però che vengano organizzati nelle scuole statali (che pure in Italia sono la massima parte) talvolta incontri e corsi extra-curriculari tenuti da soggetti esterni alla scuola, spesso di orientamento «gender» o LGBT, che vengono poi proposti agli studenti all’insaputa o comunque senza coinvolgere i loro genitori. La nuova legge – ha argomentato il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Valditara – si ispira alla necessità di tener conto di quanto la Costituzione italiana stabilisce al suo art. 30, primo comma, ossia che «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». Ne consegue che nel campo dell’educazione, e tanto più in una materia delicata come l’educazione sessuale, lo Stato non ha titolo per sostituirsi alla famiglia. Può e deve soltanto offrire ad essa dei servizi. Espressione come sono di un’area che ritiene la famiglia un segmento complessivamente arretrato della società, e che quindi per l’educazione dei giovani ci si debba sempre più affidare a élites progressiste, i partiti di centrosinistra all’opposizione, ignorando l’art. 30 della Costituzione, si sono tutti schierati contro il disegno di legge di Valditara, che è stato accusato addirittura di voler così far dilagare la mentalità che porta ai femminicidi; un’accusa cui egli ha reagito vivacemente. L’episodio conferma la forte contrapposizione che si registra in Italia tra le due grandi aree politico-culturali in cui il Paese si articola: un’eredità dell’epoca della Guerra fredda che sorprendentemente tuttora perdura.
Diversamente che ad esempio in Svizzera, riguardo ad ogni problema pubblico le parti entrano in campo non prendendo le mosse dall’obiettivo di giungere a una composizione del conflitto, bensì ribadendo perentoriamente la propria linea in una logica di contrapposizione. Con riferimento al nostro tema è difficile trovare in Italia posizioni concilianti come quella espressa nel sito internet www.educazionesessuale-genitori.ch secondo cui «L’educazione sessuale è parte integrante dell’educazione generale. I genitori sono i primi interlocutori in quest’ambito e, a complemento, ogni adulto che lavora con bambini e adolescenti ha una parte di responsabilità nella loro educazione alla sessualità». Anche se poi, secondo la diversa tradizione dei singoli Cantoni, questo principio generale viene diversamente modulato, con il Ticino che mi pare dia più spazio dei Grigioni al ruolo della scuola e degli insegnanti rispetto a quello della famiglia.

