L'energia e il pollo spennato

di GIOVANNI GALLI - Dopo gli ultimi sondaggi, che la danno in testa ma in calo di consensi, c'è chi si chiede se la Strategia energetica 2050 non rischi di fare la fine della Riforma III dell'imposizione delle imprese. Il dubbio ci può stare; il tema in votazione questa domenica non è certo di facile comprensione ed è risaputo che quando l'elettore stenta a capire tende a dire di no. Il paragone però si ferma qui, perché nella genesi delle due proposte c'è una differenza fondamentale. Nel caso delle imprese, il pacchetto iniziale era stato rimpinguato dalle Camere attraverso nuovi sgravi, che lo avevano reso più ostico e attaccabile. In quello dell'energia invece, il testo finale è stato sostanzialmente alleggerito. Delle iniziali misure proposte dal Governo, un quarto si è perso per strada. Si è deciso il divieto di costruire nuove centrali nucleari, respingendo però le proposte fatte in Parlamento per introdurre un limite temporale d'esercizio degli impianti più vecchi e rinunciando a chiedere un piano decennale ai loro gestori. Gli impianti atomici potranno quindi operare fino al termine del loro ciclo di vita, stabilito in funzione di criteri di sicurezza tecnici. È stato introdotto un limite temporale al sostegno finanziario delle energie rinnovabili. Sono pure stati ridotti gli obiettivi di produzione delle fonti alternative. Emblematico il commento del deputato ecologista Bastien Girod che aveva paragonato la Strategia 2050 così ridimensionata ad un «pollo spennato». A dispetto del nome, la cosiddetta svolta energetica non è una rivoluzione. La decisione di principio del 2011 di uscire gradualmente dal nucleare aveva fatto scalpore, ma nel frattempo il contesto è cambiato. Il divieto previsto dalla nuova legge di costruire nuovi impianti atomici è ormai più simbolico che reale. La politica detta le regole formali, ma di fatto a decretare questa uscita è già stato il mercato. Con il corso attuale dei prezzi, destinato a rimanere molto basso ancora a lungo, nessuno è intenzionato ad investire nell'atomo o a costruire nuove centrali. Ci vorrebbero troppi soldi e gli alti costi per garantire le misure di sicurezza non permetterebbero di vendere l'energia a prezzi concorrenziali. Già quattro anni fa, vedendo la malparata, i dirigenti della BKW avevano deciso di chiudere la centrale di Mühleberg nel 2019, perché a conti fatti un investimento per rinnovare l'impianto sarebbe stato proibitivo. L'anno scorso i dirigenti di Axpo e Alpiq avrebbero voluto cedere allo Stato per un franco le loro centrali in perdita. Non a caso la questione è totalmente assente dalla campagna di voto. Il vero confronto c'è stato nel novembre scorso sull'iniziativa dei Verdi che prevedeva un termine d'esercizio massimo di 45 anni. Il popolo però ha ritenuto che non ci fossero alternative valide alla disattivazione prematura delle centrali e ha riconfermato la sua fiducia nell'atomo. Più che una svolta, quello su cui si voterà domenica è un colpo di acceleratore ad una politica già in atto. Sono previsti maggiori sussidi per la promozione delle energie rinnovabili, compreso un aiuto temporaneo alle centrali idroelettriche in difficoltà, e un ampliamento del programma di risanamento degli edifici. Il costo dell'operazione è controverso. Di fatto si vota su 40 franchi in più all'anno per nucleo familiare (già se ne spendono 75). I 3.200 franchi denunciati dai referendisti con un collage di scenari ipotetici non stanno né in cielo né in terra; anche perché mettono nel calderone costi miliardari che ci sarebbero comunque, sia che passi il sì sia che passi il no. All'opposto Doris Leuthard dice che non ci saranno altre tasse, ma ci si può legittimamente chiedere se una riconversione così importante non richiederà un domani ulteriori tributi o il passaggio ad un nuovo sistema. Gli avversari della Strategia 2050 contestano il principio del sovvenzionamento e in generale la fattibilità di questa trasformazione. Critiche e dubbi possono essere in parte fondati perché uno sviluppo massiccio del nuovo rinnovabile comporta anche delle incognite, economiche e tecniche. Ma non si scopre l'acqua calda. La Svizzera è indietro rispetto ad altri Paesi nei quali il rinnovabile si sta affermando, e proprio per questo può evitare di ripetere gli stessi errori. D'altra parte, di alternative concrete per colmare in casa la minor produzione di energia nucleare non ne sono state presentate. E questo è un limite.
Ora che ci si è saggiamente parati le spalle, il punto è come attuare la graduale trasformazione del sistema energetico e assicurare l'approvvigionamento di elettricità man mano che diminuirà l'apporto di energia nucleare. E qui ci sono due strade. O si aumentano le importazioni o si accresce la produzione in proprio, investendo nell'economia locale; ben inteso senza escludere un maggior ricorso all'energia importata, visto che la sostituzione di un vettore con un altro non può essere istantanea.