L'equilibrio che batte un'imposta astrusa

A furia di assalti, il vecchio bastione del valore locativo, finora inespugnabile, ha ceduto e nel giro di qualche anno dovrà essere demolito. Dalle urne è uscito un verdetto chiaro e inequivocabile, con quasi sei votanti su dieci che si sono espressi per una riforma completa dell’imposizione della casa a uso proprio; e per l’abolizione di un’imposta ormai considerata dai più iniqua e incomprensibile. Si tratta quindi di una decisione storica, che cancella uno strumento introdotto quasi cento anni fa, uscito sempre indenne da tutti i tentativi di sopprimerlo. Il quarto assalto in ventisei anni è riuscito perché stavolta erano riunite le condizioni, politiche ed economiche (i bassi tassi d’interesse) per un cambiamento. Alle urne è giunta una proposta semplice, equilibrata e coerente, per sostituire una costruzione complessa, sicuramente ben rodata, ma anche concettualmente astrusa: tassare chi abita in casa propria per un reddito in natura, corrispondente alla pigione che questi avrebbe potuto ottenere se avesse deciso di locare il suo immobile. Ora cambia tutto. I proprietari non dovranno più dichiarare un reddito mai realmente percepito sulla casa in cui abitano e sull’eventuale residenza secondaria. Dall’altro non potranno più effettuare deduzioni; sia quelle degli interessi ipotecari sia quelle delle spese di manutenzione. Ai neoproprietari viene concessa la possibilità di dedurre gli interessi per un periodo di dieci anni, mentre i Cantoni turistici, come il Ticino, avranno la facoltà di introdurre un’imposta sulle seconde case se vorranno compensare i minori introiti fiscali.
Sebbene non perfetto, questo compromesso uscito dopo otto anni di estenuanti tira e molla alle Camere è stato considerato accettabile anche dall’elettorato. Il valore locativo non godeva di buona stampa nemmeno in passato. Si sapeva benissimo che era stato introdotto per fare cassa e non per motivi di equità. Ma in questo caso è stata trovata un’alternativa valida, che non fa più apparire lo statu quo come il minore dei mali. Non è solo una questione di principio. La riforma permetterà anche di eliminare gli incentivi perversi di un sistema che premia l’indebitamento (a scapito, in caso di crisi, della stabilità della piazza finanziaria) e al tempo stesso penalizza chi i debiti li ha estinti del tutto o in buona parte; come gli anziani proprietari, oggi costretti a dichiarare un reddito che non hanno realmente conseguito, senza poterlo controbilanciare con la deduzione degli oneri ipotecari. Col rischio, in certi casi, di perdere il diritto a prestazioni sociali.
È stato detto che i proprietari, minoritari nel Paese rispetto agli inquilini, essendo in generale più propensi a recarsi alle urne, stavolta sono riusciti a spostare gli equilibri a loro favore. Può darsi, ma il sì scaturito ieri dalle urne si presta a una lettura più sfumata. Non va dimenticato che solo pochi mesi or sono lo stesso elettorato aveva respinto due proposte di revisione del diritto di locazione a favore dei proprietari. Ieri, nel Canton Berna, gli stessi votanti che si sono espressi per l’abolizione del valore locativo hanno accolto un’iniziativa contro gli aumenti ingiustificati degli affitti, lanciata dall’Associazione cantonale degli inquilini. È vero che i proprietari, nel voto nazionale, avevano a disposizione anche molti più mezzi. Ma questo non deve diventare un alibi per gli sconfitti. Il chiaro risultato scaturito dalle urne indica che i fautori della riforma sono riusciti a mobilitare gli elettori meglio dei loro avversari, semplicemente perché stavolta avevano dalla loro argomenti che la controcampagna non è riuscita a contrastare. Le ragioni invocate dall’alleanza composta da inquilini, sinistra, Cantoni (preoccupati dalla prospettiva di perdere gettiti fiscali) e ambienti della costruzione (allarmati per le conseguenze dello stralcio delle deduzioni per le spese di manutenzione) non hanno fatto presa.