L'escalation in Iran e l'afonia della Svizzera

Tirato per la giacca da Benjamin Netanyahu - che da trent'anni parla di un Iran «vicinissimo all'arma nucleare» - Donald Trump, alla fine, è intervenuto. La scorsa notte, B2 americani, insieme ad alcuni sottomarini, hanno bombardato tre siti nucleari iraniani.
Chi pensava che il tycoon - il presidente «isolazionista» - non avrebbe osato iniziare nuove guerre, specialmente dopo aver fatto campagna sui conflitti aperti durante la presidenza Biden, è rimasto con un palmo di naso. E altrettanto si può dire di chi aveva confidato nel fatto che la tutt'altro che provata liceità dell'atto - riassumibile nella differenza che vige fra preemptive e preventive attack, come spiegato in questi giorni da numerosi esperti - bastasse per convincere Trump a non uscire dai binari del diritto internazionale.
No, l'America ha colpito. E le conseguenze potrebbero essere ampie.
A livello internazionale, il grande sconfitto è il Trattato di non proliferazione nucleare, considerato che l'Iran potrebbe rifiutare, ora, ogni ulteriore contatto con l'agenzia ONU dell'energia atomica (AIEA) che, pur con grosse difficoltà, era riuscita sin qui a mantenere una forma di controllo sul suo programma nucleare. Peggio: l'esempio di due potenze nucleari, Stati Uniti e Israele, che bombardano «preventivamente» un Paese che di bombe atomiche non ne aveva (per quanto vicino o meno fosse), potrebbe rappresentare un incentivo per molti altri a dotarsi di simili ordigni, fosse anche come misura deterrente.
Ancora da definire, poi, gli effetti locali. È vero: l'attacco rappresenta un ulteriore colpo per il regime degli Ayatollah, la cui caduta è auspicata da una popolazione, quella iraniana, che da decenni (e ancor più dalla morte, nel 2022, della giovane Mahsa Amini) lotta per le proprie libertà. Ma non è detto, ancora, che l'aggressione israelo-statunitense abbia effetti destabilizzanti. Si sa, le bombe, a volte, finiscono per unire anche le frange più opposte. Un esempio: Molavi Abdolhamid, leader della minoranza sunnita iraniana che nel 2022 si era distinto per le critiche al regime e per il suo sostegno al movimento «Donna, Vita, Libertà», negli scorsi giorni ha lanciato un appello all'unità del Paese contro gli attacchi di Tel Aviv.
Certo è che, allontanando un po' il focus, la guerra totale fra Stati Uniti (più Israele) e Iran, in un certo senso, tocca anche la Svizzera. Dopo i dubbi già emersi nel vertice per l'Ucraina sul Bürgenstock, al quale l'allora presidente statunitense Joe Biden non aveva ritenuto necessario partecipare, la Confederazione - che dal 1980 rappresenta gli interessi USA in Iran e più volte ha funto da intermediaria e mediatrice tra le due parti - si ritrova nuovamente ignorata. Nessuno si aspettava, ovviamente, miracoli. Ma certamente i generici, e postumi, appelli alla moderazione (così come la tardiva messa a disposizione di buoni uffici) sembrano testimoniare la crescente incapacità di Berna - un po' come nel caso del diritto umanitario a Gaza - di emergere, pubblicamente, come voce della ragione nel caos odierno.