Il commento

L’opportunismo di Trump

Il successo del tycoon è basato sul non aver perso molti dei tradizionali elettori repubblicani, mentre ha attirato larghi strati dei ceti ai margini della crescita economica americana
Giovanni Barone Adesi
Giovanni Barone Adesi
11.11.2024 06:00

La vittoria elettorale di Trump sta causando preoccupazioni diffuse e reazioni scomposte dalla sinistra, crogiolatasi fino all’ultimo in sondaggi che davano Harris certamente vincente. In realtà il mercato delle scommesse, molto attivo, dopo una breve parentesi in occasione della sostituzione della candidatura Biden con Harris, dava Trump vincente al 60%. Condividevo questa probabilità perchè il Collegio Elettorale avvantaggia gli Stati più piccoli, in prevalenza repubblicani, e rende superflue le maggioranze schiaccianti nei singoli Stati. In pratica, l’esperienza mostra come sia difficile per il Partito Democratico avere la Presidenza con scarti inferiori al 2% nel voto popolare.

Trump, nella sorpresa generale, ha vinto anche il voto popolare, assicurando ai Repubblicani il controllo del Congresso. Il suo successo è basato sul non aver perso molti dei tradizionali elettori repubblicani, mentre ha attirato larghi strati dei ceti ai margini della crescita economica americana.

Questi ceti si sono impoveriti in anni recenti, per la perdita di posti di lavoro nell’industria manifatturiera e mineraria, una volta molto redditizia. Inoltre, l’epidemia di droghe e la criminalità che l’accompagna ha creato un diffuso senso di insicurezza. In antiche roccaforti democratiche, come gli Allegheny, Trump ha raccolto fino all’85% dei voti. Questo è stato possibile perchè la sinistra democratica americana, alla ricerca di consensi nelle aree a forte crescita, si occupa molto di diritti civili, ma poco o nulla di diritti socioeconomici o di sicurezza.

Trump è un grande opportunista, pronto a cambiare posizione quando conviene. Molti commentatori europei, esaminandolo alla luce delle loro ideologie, lo considerano antiabortista o addirittura fascista, ma credo che sia sbagliato attribuirgli convinzioni radicate al di là del suo immediato interesse personale.

Come tutti i politici, ha contratto degli impegni nei confronti dei suoi elettori: tagliare le tasse al ceto medio e riportare in America posti di lavoro perduti per i ceti svantaggiati attraverso dazi doganali. Naturalmente potrebbe cambiare idea anche su questi temi, se percepisse dei vantaggi.

Sul taglio delle tasse, il problema è il mostruoso deficit, che potrebbe portare a tassi d’interesse elevati o inflazione. Sui dazi, il rischio è di innescare una guerra commerciale nella quale tutti perderebbero.

Il benessere del quale godiamo è basato sul libero commercio, che ci consente di usare beni prodotti nei Paesi che possono farlo nel modo più efficiente. Questo però comporta una dislocazione dei posti di lavoro non competitivi, di solito a basso valore aggiunto. I Paesi che forniscono questi beni agli Stati Uniti difficilmente potranno mantenere le loro quote sul mercato americano. Questa è una considerazioni in parte rassicurante per la Svizzera, che soffrirebbe comunque se si scatenasse una guerra commerciale generale.

Fortunatamente la guerra vera e propria è qualcosa che Trump vuole assolutamente evitare, anche a livello locale come in Ucraina. Questo perchè crede che la guerra sia uno spreco di risorse, concetto che il popolo svizzero ha capito da secoli. Inoltre, il peso delle guerre americane ricade in grande misura sui suoi elettori. Tuttavia, la sua natura di scommettitore potrebbe portarlo a delle decisioni azzardate, aggravate dal suo stile accentratore. In sintesi, i prossimi quattro anni della sua presidenza saranno ricchi di cambiamenti, con conseguenze globali. Qualcuno pensa che sarà paragonabile a F.D. Roosevelt. Speriamo di essere qui tra quattro anni per tirare un sommario.

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