L'editoriale

LPP, il rischio di cadere in votazione è molto alto

La riforma della LPP è ad alto rischio di schianto alle urne, a causa della fragilità del sostegno politico e per le resistenze di segno opposto che sta suscitando
Giovanni Galli
18.03.2023 06:00

Chi ha a cuore il tema della previdenza, indipendentemente da come la pensi, farà bene a marcare una data: 3 marzo 2024. È la domenica in cui, con ogni probabilità, si voterà su almeno due oggetti che riguardano le pensioni: la riforma della previdenza professionale, approvata ieri dal Parlamento, e l’iniziativa popolare promossa dall’Unione sindacale svizzera per la 13. AVS. E nel caso in cui le Camere non allungassero i tempi con un controprogetto, al giudizio delle urne potrebbe essere sottoposta anche l’iniziativa popolare dei Giovani liberali-radicali per aumentare l’età di pensionamento. Contro la revisione del secondo pilastro è già stato preannunciato da tempo il referendum da parte di sinistra e sindacati, che dopo la sconfitta sull’AVS dello scorso settembre non possono permettersi un nuovo passo falso su un terreno in cui, storicamente, vorrebbero condurre il gioco. La riforma della LPP è ad alto rischio di schianto alle urne, a causa della fragilità del sostegno politico e per le resistenze di segno opposto che sta suscitando. Eppure è uscita dalle Camere con un risultato più solido di quanto ci si potesse attendere. Dopo le resistenze da parte di alcuni settori economici, contadini in testa, fuori e dentro i corridoi di palazzo c’era chi pensava che sarebbe stato meglio soffocare la legge nella culla piuttosto che andare incontro a una disfatta in votazione popolare e darla vinta alla sinistra, notoriamente critica con il secondo pilastro. Il fatto che queste voci siano rimaste tali non rende l’impresa davanti alle urne meno ostica. La versione uscita dalle Camere è sicuramente migliore di quella del Consiglio federale, mutuata da un accordo fra i sindacati e l’Unione svizzera degli imprenditori. Questa soluzione prevedeva compensazioni «a innaffiatoio», vale a dire destinate a tutti i pensionati della generazione di transizione (benestanti compresi), a seguito della riduzione dell’aliquota di conversione dal 6,8% al 6%. E al tempo stesso chiamava alla cassa gli attivi (leggasi giovani) attraverso un finanziamento in stile AVS, estraneo al sistema del secondo pilastro, in cui ognuno risparmia per sé. Il Parlamento ha cercato una soluzione più mirata, basata sugli averi di vecchiaia al momento del pensionamento e al tempo stesso ha esteso il secondo pilastro, abbassando la soglia di accesso e aumentando la parte di salario assicurato. Ma queste operazioni, oltre ad alimentare l’ostilità della sinistra, favorevole all’intesa fra i partner sociali, hanno aperto un nuovo fronte. Ai settori economici a bassi salari non piace la prospettiva di un aumento del costo del lavoro, mentre non tutti gli assicurati potrebbero essere d’accordo di versare maggiori contributi su una retribuzione già bassa per poi riscuotere una pensione un po’ migliore solo fra molti anni. La macchina propagandistica della sinistra si è già attivata dicendo che bisognerà pagare di più per ricevere meno – non è così ma l’argomento può far presa – e che in fin dei conti la riforma premierà solo chi gestisce i capitali. All’opposto, c’è anche chi giudica eccessivo compensare solo la metà dei futuri pensionati, sostenendo che in realtà meno di un assicurato su cinque verrebbe penalizzato dall’abbassamento del tasso di conversione e che per una transizione equa andrebbero compensati solo coloro che sono effettivamente destinati a subire perdite. Anche negli ambienti direttamente interessati, come l’Associazione degli istituti di previdenza, serpeggia il malcontento per una soluzione ritenuta troppo onerosa, che non raggiungerebbe né l’obiettivo di una compensazione mirata né quello di evitare travasi fra attivi e beneficiari di rendite. E c’è anche chi, come il Centre patronal romando, sostiene che sono già state trovate soluzioni interne al sistema senza interventi politici. Insomma, alla compattezza della sinistra e dei sindacati fanno riscontro un mondo economico diviso (con settori che combatteranno la riforma e altri che tutt’al più la sosterranno freddamente o si faranno da parte) e un fronte borghese non sempre entusiasta, che dopo aver dato la sua adesione dovrà anche organizzarsi e salire sulle barricate. C’è anche una variabile non ideale per la causa. Di regola, il Governo sposa le decisioni del Parlamento nelle campagne di voto. Tuttavia, Alain Berset (agli Stati) era stato critico sull’entità delle compensazioni e aveva parlato di soluzione da braccino corto. Viene da chiedersi come difenderà la riforma in pubblico.