Il commento

Ma adesso bisogna informare a fondo

Un’ampia maggioranza degli svizzeri vuole un cambio di paradigma nel prelievo degli organi, senza storia la votazione su «Frontex», meno netto il sì alla «Lex Netflix»
Giovanni Galli
16.05.2022 06:00

Il risultato è chiaro. Un’ampia maggioranza degli svizzeri (solo quattro i cantoni contrari) vuole un cambio di paradigma nel prelievo degli organi. Tre votanti su cinque a livello nazionale (due su tre in Ticino) hanno detto sì al passaggio dal sistema del consenso esplicito a quello del consenso presunto. Oggi è un donatore chi lo attesta di sua volontà in un apposito registro o nel testamento biologico. Presto, invece, diventerà donatore chiunque, quando è in vita, non segnala la sua opposizione a un eventuale espianto degli organi. Resterà il diritto di veto per i familiari, se il loro congiunto non lascerà indicazioni. Anche la Svizzera raggiungerà quindi il grosso dei Paesi europei - il consenso esplicito resta solo in Germania, Danimarca, Irlanda e Islanda - dove già vige questo modello, con risultati molto diversi. La Spagna detiene il primato con cinquanta donatori per milione di abitanti, grazie anche a una buona organizzazione del sistema e agli investimenti nei programmi di sensibilizzazione. La Polonia, invece (13,3 per milione), ha meno donatori della Svizzera (18,3 per milione), dove si registra una crescita costante dal 2008, anche se inferiore alle attese. Nella maggior parte dei casi, finora, le volontà del defunto non sono note. L’ultima parola spetta ai familiari, che il 60% delle volte dicono di no. Resta da vedere se con il consenso presunto, sapendo che l’espianto diventa la regola, i congiunti si sentiranno davvero sgravati dal fardello morale della scelta e daranno il loro consenso. L’ampio sostegno raccolto dalla proposta in votazione va letto come un segnale della volontà di donare, già emersa nei sondaggi, e di cambiare le regole per salvare più vite, relativizzando il diritto individuale all’autodeterminazione. La questione dell’efficacia, tuttavia, resta controversa, anche perché il tema è molto delicato, tocca convinzioni intime e profonde - non è facile misurarsi con il tema della morte - e il modo con cui viene affrontato dipende anche da fattori culturali non riconducibili a un dettame di legge. Il cambiamento non avverrà in tempi brevi. Si parla della metà del 2024. Allo Stato spettano ora due compiti. Innanzitutto stabilire come registrare le opposizioni e a chi affidare la gestione di queste informazioni di natura confidenziale. L’intenzione è di assegnarla alla Fondazione Swisstransplant, che è già responsabile dell’attribuzione degli organi, ma non tutti sono d’accordo. C’è poi il problema tecnico della registrazione online sicura tramite l’identità elettronica (e-ID), che in Svizzera non esiste ancora. Ma da fare c’è soprattutto un grosso sforzo di informazione, come ha ribadito lo stesso Alain Berset. Il passaggio al consenso presunto presuppone il consenso consapevole, perché se tutti, sulla carta, sono potenziali donatori, devono anche sapere come non diventarlo al momento della morte. «È dovere delle autorità competenti fornire informazioni in tutto il Paese. Solo in questo caso la nuova norma è eticamente e legalmente ammissibile», dice la presidente della Commissione nazionale di etica della medicina Andrea Büchler (pag. 7). Più di sei milioni di persone, in pratica tutti residenti con più di 16 anni, devono sapere cosa fare se non vogliono donare i loro organi. In quest’ottica, il referendum promosso contro la revisione della Legge sui trapianti è stato utile. Ha permesso di discutere pubblicamente, preparando il terreno, su una decisione parlamentare che non aveva praticamente suscitato dibattito fuori dalle mura di Palazzo. Ma la bassa partecipazione al voto, la contenuta risonanza mediatica della campagna e il fatto che in Svizzera esiste una forte e composita comunità straniera (con competenze linguistiche diverse) possono anche essere indice delle difficoltà che si parano di fronte per far pervenire il messaggio del cambiamento di sistema. Senza storia, ma altamente significativa, è stata la votazione su «Frontex». Più del 70% dei votanti ha approvato il potenziamento dell’Agenzia europea della guardia di frontiera. Un no non avrebbe cambiato nulla alla condizione dei migranti (la riforma prevede anzi più persone al fronte nella difesa dei diritti fondamentali), in nome dei quali era stato lanciato il referendum. Il sì è una scelta all’insegna della condivisione delle responsabilità e delle esigenze di sicurezza con i partner europei, ma anche un conferma dei vantaggi che assicura l’associazione della Svizzera allo spazio Schengen. Meno netto, per contro, anche se chiaro, il sì alla «Lex Netflix», contestata in nome della libertà dei consumatori. Segno che l’obbligo per i giganti dello streaming di destinare un modesto 4% dei ricavi nel cinema svizzero non è considerato un possibile pretesto per aumentare i prezzi degli abbonamenti; mentre la richiesta di avere nel catalogo almeno il 30% di film europei non è problematica, dal momento che il loro palinsesto già lo prevede per scelte di mercato.