Il commento

Miliardi in fumo

Nel primo semestre di quest’anno le borse valori hanno avuto un tracollo con perdite oltre il 20% e in cifre assolute nelle migliaia di miliardi
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
29.07.2022 06:00

Nel primo semestre di quest’anno le borse valori hanno avuto un tracollo con perdite oltre il 20% e in cifre assolute nelle migliaia di miliardi.

Mi sono chiesto: è veramente ricchezza andata in fumo o la ricchezza vantata aveva lei stessa un’importante componente di fumo?

In un «Commento» nel Corriere del Ticino dello scorso dicembre avevo espresso la mia perplessità dinanzi all’ipertrofia di certi valori. La Rivian, con 180 veicoli elettrici fabbricati, andata in borsa a 150 miliardi di dollari USA, da un corso massimo di 106 dollari è scesa a 19 dollari. La stessa Tesla da 1.200 dollari per azione sino a 620 dollari. WeWork, che nel 2019 veniva valorizzata 47 miliardi di dollari e da me definita un pallone gonfiato, dopo un mezzo fallimento è valutata 9 miliardi di dollari.

Ho letto di una società che si vuol quotare sugli 8 miliardi di dollari sfruttando la formula «compera oggi e paga domani». Idea non nuovissima, quando io ero un ragazzino i negozianti avevano per i clienti il libretto sul quale venivano marcati gli acquisti che venivano pagati a fine mese quando il capo famiglia riceveva il salario.

Potrei continuare con decine di corsi sciolti come la neve al sole. Ricordo quanto già pubblicato in dicembre: la metà delle IPO (Initial Public Offering) alle più importanti borse avevano già allora perso più del 20 fino al 30% rispetto ai prezzi delle quotazioni iniziali.

Crash notevoli anche nelle Tech-shares, le azioni nel settore della tecnologia, arrivate a prezzi stellari. Il «Financial Times» valuta in 460 miliardi di dollari le perdite. Le motivazioni di quotazioni con multipli folli di 50 volte il fatturato (!) sono anche tecniche.

Alla disperata ricerca di redditi (vedi tassi negativi) i grossi operatori (fondi statali e pensionistici inclusi) si sono buttati anche sull’acquisto di opzioni. Vale a dire il diritto, pagando una commissione, dopo un lasso di tempo di acquistare azioni a un prezzo fissato oggi. Le azioni scendono, si perde la cifra investita (cifra relativamente modesta), se il titolo sale si realizzano gli utili. Ovviamente questo apparentemente facile gioco esige una controparte che assicuri la consegna dei titoli (il market maker), che per fare fronte al possibile impegno deve coprirsi anche acquisendo i titoli oggetto del contratto. Operazioni che hanno avuto un effetto di leva fortissima sui titoli tecnologici gonfiandone i valori. Il giochino si è spezzato e di conseguenza i titoli della Netflix hanno perso oltre il 70%, quelli di Facebook e Nvidia attorno al 45%, la stessa Amazon il 37% e così via.

Si sono salvate le società di Private Equity, che investono in società non quotate e grazie a migliore gestione, ma in effetti a forme di indebitamento esasperato, le rivendono con notevole utile dopo qualche anno. Le statistiche dicono che le diverse società di Private Equity gestiscono complessivamente 4.300 miliardi di dollari, dei quali circa il 30% liquidi e per il momento non segnalano importanti perdite. Attenzione, le loro partecipazioni non sono valutate dal mercato ma con perizie fatte effettuare dai gestori stessi, inclini ad un interessato ottimismo. Preoccupano le numerose transazioni tra società di Private Equity che si compravendono le partecipazioni tra loro. Non sono un patito delle scommesse, ma se fossi obbligato scommetterei su una riduzione degli oltre tremila miliardi investiti.

A questo punto è doverosa la domanda sull’origine di questo tracollo e della malsana ipertrofia delle finanze. Vi possono essere delle chiamate a correo, ma le indiziate principali sono le banche centrali.

Ripeto quanto già detto tempo fa: per salvare Stati sovraindebitati (con il pretesto di voler vitalizzare l’economia e il potere d’acquisto) le banche centrali più note hanno immesso oltre 30.000 miliardi di dollari e hanno portato i tassi al livello zero. Siccome il cavallo non beveva, vale a dire l’economia non necessitava di così massicce dosi di oppiacei, e nel contempo grossi e piccoli investitori venivano privati del reddito sui risparmi, si è causata una malsana inflazione su titoli e immobili, si è stati costretti alla ricerca del reddito tramite operazioni arrischiate e nel contempo le allegre finanze statali vivevano di debiti.

Percentuali importanti del debito pubblico dei Paesi dell’UE sono detenute dalla Banca centrale europea (BCE) che ha pure finanziato le banche dei singoli Stati che a loro volta detengono quote importanti dello stesso debito. Caso emblematico quello italiano. Nei primi nove mesi del 2021 la BCE ha acquistato 122 miliardi del debito pubblico oltre al rinnovo di titoli in scadenza per 73 miliardi coprendo in tal modo il 46% del fabbisogno lordo di finanziamento.Vi sarà chi dirà che tutta la responsabilità ricade sull’economia di mercato dimenticando che la stessa, quando non era mortificata e condizionata da politiche assurde e da banche centrali che si sono messe a far politica, era l’origine non del fumo ma di abbondante arrosto.