Diritti e sostenibilità

Olio di palma e reputazione

In Svizzera il consumo di olio di palma è cresciuto significativamente negli ultimi anni, e la questione della sostenibilità di questo prodotto solleva ancora molte preoccupazioni, in particolare per quanto riguarda l’etica e il rispetto dei diritti umani
Gaia Clara Barcilòn
Gaia Clara Barcilòn
28.06.2025 06:00

L’olio di palma è uno degli ingredienti più presenti nella vita quotidiana, usato in molti alimenti, cosmetici e detergenti. In Svizzera il consumo di olio di palma è cresciuto significativamente negli ultimi anni, rendendo il Paese uno dei principali importatori europei. Sebbene alcune catene di distribuzione si siano impegnate per un approvvigionamento più responsabile, la questione della sostenibilità di questo prodotto solleva ancora molte preoccupazioni, in particolare per quanto riguarda l’etica e il rispetto dei diritti umani. Negli ultimi vent’anni l’importazione di olio di palma grezzo in Svizzera è aumentata in modo consistente, accompagnando la crescita della domanda di prodotti che lo contengono. Grandi catene di distribuzione come Migros, Aldi e Lidl hanno fatto progressi rilevanti nel garantire che l’olio di palma impiegato provenga da fonti sostenibili, rispondendo a una sensibilità crescente da parte dei consumatori verso le tematiche ambientali e sociali. Tuttavia, nonostante tali sforzi, l’olio di palma resta al centro di un acceso dibattito. Le critiche si concentrano soprattutto sulle gravi violazioni dei diritti umani lungo le catene di fornitura, che pongono le aziende di fronte a complesse responsabilità legali e reputazionali.

Un caso emblematico è quello di PT Astra Agro Lestari, tra i principali fornitori mondiali di olio di palma e legato anche ad aziende svizzere. Le Nazioni Unite hanno accusato PT di pratiche gravemente abusive, come l’occupazione illegale di terre, atti di violenza verso comunità indigene, sfruttamento del lavoro minorile e condizioni lavorative pericolose. Tali pratiche non solo violano diritti fondamentali, ma espongono le imprese a rischi elevati: cause legali, boicottaggi, perdita di fiducia da parte di investitori e consumatori, nonché danni duraturi alla reputazione. Il lavoro forzato e minorile nelle piantagioni è una violazione etica e giuridica che non può essere ignorata dalle aziende coinvolte, dirette o indirette.

Anche se le responsabilità primarie ricadono sul fornitore, le aziende che acquistano olio da questi produttori non sono esenti da colpe. Secondo i principi della Corporate Social Responsibility (CSR), le imprese devono rispondere anche delle azioni dei loro partner commerciali. Ignorare o minimizzare questi rischi significa esporsi a conseguenze economiche, legali e d’immagine. La sostenibilità non può più essere intesa solo come attenzione ambientale, ma come un impegno trasversale che include anche la protezione dei diritti umani lungo tutta la filiera produttiva.

Le certificazioni, come la RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), sono nate proprio con l’obiettivo di favorire un approvvigionamento più etico. Tuttavia, diversi scandali dimostrano che tali strumenti, pur utili, non bastano a garantire standard elevati e rispettati ovunque. È quindi fondamentale che le aziende vadano oltre le certificazioni, investendo in audit indipendenti, controlli frequenti, trasparenza nelle pratiche commerciali e coinvolgendo gli stakeholder locali. Solo un’azione coerente e continua può portare a un reale cambiamento.

L’esempio dell’olio di palma mostra chiaramente che la CSR non è un concetto astratto, ma una realtà che incide sulle scelte quotidiane. Le aziende che adottano politiche trasparenti, fondate sull’etica e sulla responsabilità, sono quelle che possono costruire un vantaggio competitivo duraturo, guadagnando la fiducia dei consumatori sempre più sensibili all’impatto delle loro decisioni. La responsabilità sociale, quindi, non si limita alle direttive aziendali: parte da noi, dai nostri acquisti, e prende forma nel modo in cui le imprese rispondono alle grandi sfide globali.