Ventisei cantoni

Parità di parola

La strenua battaglia per l’uguaglianza conquista un nuovo avamposto nel Consiglio comunale della città di Zurigo
Moreno Bernasconi
17.05.2022 06:00

La strenua battaglia per l’uguaglianza conquista un nuovo avamposto nel Consiglio comunale della città di Zurigo. Il campo della difesa dei diritti gender si estende ulteriormente. Grazie a regolamenti che vigilano rigorosamente sulla stesura degli atti parlamentari dei membri del Legislativo cittadino e - ora - sullo svolgimento dei dibattiti. Da tre anni, l’Ufficio presidenziale del Consiglio comunale verifica se gli atti presentati dai membri rispettano le regole del linguaggio gender. Se un’interpellanza presentata utilizza ad esempio solo il maschile per designare genericamente un essere umano e non una formula gender compatibile, interviene la censura. Sono sorte diatribe riguardanti il dovere o no di usare termini che rispettino non solo il femminile ma anche la condizione di non binarietà (transgender, genderqueer o genderfluid…) ma tant’è: i regolamenti vigilano affinché la lingua utilizzata negli atti parlamentari non sia discriminante su base sessuale. Ma il Consiglio comunale di Zurigo vuole la garanzia della parità anche in un altro campo: quello del tempo di parola. Una settimana fa, ha infatti adottato un postulato inoltrato dai Verdi e dal Partito socialista che chiede l’istituzione di un «Genderwatch-Protokoll», ovvero un protocollo dei dibattiti parlamentari che indichi in modo sistematico e preciso quante volte le donne prendono la parola e per quanto tempo.

Verdi e socialisti ritengono infatti che le donne siano sottorappresentate nel tempo di parola, una discriminazione che va corretta. A maggior ragione - affermano Selina Walgis (Verdi) e Marion Schmid(PS), autrici del postulato - visto che il numero di seggi occupati da donne in Consiglio comunale è nettamente inferiore a quello degli uomini (39%, seppure in crescita rispetto alla Legislatura precedente, durante la quale le donne erano il 31%): «Contare soltanto quanti scranni sono occupati da donne non ci basta. Ci vuole di più!». Le due Consigliere comunali respingono la critica di voler introdurre un sistema di quote del tempo di parola o di voler mettere la museruola ai colleghi maschi: «Ciò che vogliamo, è creare la consapevolezza che la parola delle donne è sottorappresentata in questo consesso». E probabilmente - aggiungono - altri gruppi prendono meno la parola in Parlamento: i giovani oppure persone che hanno un passato migratorio.

Nel dibattito, l’UDC Suzanne Brunner ha replicato, rendendo attenti al fatto che «Si chiede la parola perché si ha qualcosa da dire e non perché venga rispettata la statistica» e incitando a non introdurre norme che aumentano soltanto una burocrazia già dilagante. In un intervento conciso di un solo minuto, la liberale Martina Zürcher ha inoltre definito il postulato «una proposta burocratica controproducente per la parità» e ha invitato colleghe e colleghi a riconoscere che «spesso gli interventi più lunghi sono peggiori di quelli brevi».

Anche la Lista alternativa di sinistra AL (pur mostrando comprensione per il problema sollevato dal postulato) ha espresso dubbi sull’utilità del nuovo protocollo. David Garcia Nunez (AL) ha esortato i colleghi di sinistra a non creare un «cimitero ininterpretabile dei dati». Senza successo. Il Consiglio comunale zurighese ha infatti approvato il nuovo protocollo «Genderwatch». D’ora in poi, sull’attività del Parlamento cittadino zurighese vigilerà un nuovo «Grande Fratello». Oppure - per essere paritari - una nuova «Grande Sorella».