Per Genova tante parole e pochi fatti

Di Fabio Pontiggia - Genova si è fermata ieri per commemorare le 43 vittime del crollo del ponte Morandi. Le terribili immagini di quel 14 agosto sono ancora vive nella memoria di tutti noi. Ma da allora l'Italia del Governo del cambiamento ha prodotto tante chiacchiere e pochi fatti, tanti j'accuse e nessuna soluzione. Cinquestelle e Lega nemmeno si son messi d'accordo su chi debba costruire il nuovo ponte autostradale; la minaccia di togliere la concessione alla società Autostrade è rimasta a mezz'aria, confrontata con i vincoli contrattuali e i rischi finanziari, pesantissimi, di mosse avventate prima che l'inchiesta della magistratura chiarisca le cause e quindi le responsabilità penali della tragedia. Di più: è emerso – e non poteva essere diversamente – il ruolo del proprietario dell'autostrada, lo Stato (tramite il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), accanto a quello del gestore. E infatti tra gli indagati ci sono anche funzionari e tecnici dello Stato. Il giustizialismo con la bava alla bocca ha alimentato inizialmente rancori e risentimenti in un'unica direzione (la famiglia Benetton), ma ha lasciato finora a bocca asciutta i cittadini che chiedono – va ripetuto – fatti, non parole (tanto rabbiose quanto inconcludenti). Il cerchio dell'indagine giudiziaria si sta comunque stringendo. E si sta stringendo attorno ai tecnici (dirigenti compresi). Chi altri, in effetti, se non loro era in grado, anzi in dovere, di dire quale fosse lo stato effettivo del ponte Morandi, quali gli interventi necessari, quali i rischi per gli automobilisti e per gli edifici sottostanti? A questo riguardo suscitano sconcerto le uscite pubbliche di taluni ingegneri e altri esperti. L'altra sera, ad esempio, alla trasmissione «Porta a porta» della RAI è stato invitato un ingegnere allievo di Riccardo Morandi, il quale ha ricordato come già il padre del ponte avesse segnalato nel 1981 il degrado degli stralli. Non è l'unico. Benissimo ha fatto il conduttore Bruno Vespa ad incalzarlo: ma se voi esperti sapevate, chi avete informato? Cosa avete fatto? Avete scritto a qualcuno? Nessuna risposta. Già, perché questo è proprio il punto oscuro della tragedia. Quando nel 1993 venne eseguito il primo intervento di risanamento strutturale dei tiranti su un pilone (la famiglia Benetton non era ancora subentrata allo Stato nella gestione dell'autostrada), i tiranti del pilone crollato il 14 agosto non erano stati presi in considerazione. Quando è stato messo a punto il progetto di risanamento da 20 milioni di euro tra il 2015 e il 2017, approvato con ritardo dal Ministero, nessuno degli ingegneri e dei tecnici che se ne sono occupati (fossero essi della società Autostrade, del Ministero o indipendenti) ha individuato, né tantomeno segnalato, rischi di crollo immediato. Nemmeno gli esperti del Politecnico di Milano, ai quali il gestore dell'autostrada aveva chiesto una perizia proprio per valutare i rischi, avevano affermato l'esigenza di chiudere il ponte o di contingentare il traffico. Si erano per contro limitati ad indicare l'esigenza di svolgere ulteriori approfondimenti e di monitorare lo stato del ponte. Che invece è improvvisamente crollato in quel 14 agosto di maltempo. Alcuni tecnici oggi indagati erano stati designati dal ministro pentastellato Danilo Toninelli addirittura nella commissione che deve fare luce sulla tragedia. Una scelta inaudita, sulla quale il giustizialismo gialloverde ha disinvoltamente sorvolato. Se il (nuovo) potere politico si fosse concentrato subito sul suo lavoro (decidere chi deve ricostruire e far avviare non appena possibile i lavori, perché un progetto c'è) e non avesse interferito continuamente nel lavoro di chi – la magistratura – deve individuare cause e responsabilità penali del crollo, forse Genova, a un mese dal 14 agosto, avrebbe potuto ricordare le vittime con qualche certezza in più. Invece ha sentito solo tante chiacchiere e ha visto pochi fatti.