Prima timide, poi leonesse: la bella storia delle elvetiche

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. È la formulazione popolare del principio di conservazione della massa, enunciato da Antoine-Laurent de Lavoisier nel XVIII secolo. Per la Nazionale al femminile vale la stessa cosa. Le rossocrociate esistevano già ben prima del debutto di Euro2025. E nemmeno sono state sfondate dalla sconfitta contro la Spagna o dall’eliminazione dal torneo. Ma hanno mutato forma. E, con loro, tutto il popolo elvetico. La Svizzera dalla voce fievole, come la definì l’allenatrice svedese qualche settimana fa descrivendo il gruppo che aveva trovato quando iniziò il suo mandato, si è trasformata in 23 leonesse. Il percorso delle ragazze di Pia Sundhage a questa rassegna continentale è terminato, ma è stato comunque epico. Forse al termine del match contro le iberiche non ci si è resi davvero conto. Ed è comprensibile. Anche noi abbiamo sofferto con i 25 mila sostenitori svizzeri presenti venerdì sera al Wankdorf. Pure noi speravano nel miracolo. Da qui il colpo al cuore quando Athenea ha superato Peng. E poi la stilettata finale con l’incantevole tiro a giro di Pina. C’erano delusione, rammarico e tanta tristezza nei volti delle nostre beniamine. Durante la passerella davanti alle tribune con la scritta «Merci fans» a più di una è scesa qualche lacrima. Stesse emozioni si potevano leggere negli occhi dei tifosi rimasti fino a mezzanotte a osservare lo stadio, ormai quasi vuoto, con le mani dietro la schiena. Ma è bastato dormirci sopra un paio di notti per fare un’analisi fredda e ragionata.
La Svizzera, a proposito di trasformazioni, deve tramutare le sue lacrime in sorrisi. Euro2025 è stato una bellissima opera. Certo, mancava la pennellata finale, quel tocco che l’avrebbe resa un capolavoro. Ma soffermarsi su certi dettagli non porta a nulla. Non fa crescere. Impuntarsi sul «dovevamo vincere, solo così sarebbe stato un Europeo di successo» ha poco senso. Davide che batte Golia, d’altronde, è un evento più unico che raro. La verità è che questa rassegna è stata più che buona dal lato sportivo - raggiunto il traguardo prefissato dei quarti - e straordinaria sul piano sociale. E non è ancora finita. Ma restiamo in campo rossocrociato. Se osserviamo nella sua interezza il dipinto realizzato dalle rossocrociate notiamo sullo sfondo due fiumi rossi che raggiungono il Wankdorf. Uno conta 14 mila persone, l’altro 25 mila. In secondo piano circa 100 mila tifosi festanti. Quelli che hanno sostenuto le ragazze allo stadio. Accanto a loro i milioni che le hanno seguite in televisione.
Infine, in primo piano, sono ritratte le gesta delle elvetiche. L’1-0 di Riesen contro la Norvegia, i tre «player of the match» di Reuteler, la danza di Pilgrim dopo il 2-0 contro l’Islanda, il gol di Xhemaili che ha regalato uno storico quarto di finale. E poi, ancora fresco di pittura, il dettaglio dell’incontro contro la Spagna. Una corazzata rossocrociata solida come il marmo. La Svizzera ha fermato le iberiche sul 2 a 0. Sì, è il caso di dirlo. Perché la Roja è di un altro pianeta. Non averle concesso di andare oltre due reti (il Portogallo ne ha prese 5, il Belgio 6 e l’Italia 3) è un mezzo miracolo. Non dimentichiamoci che la nostra realtà, a differenza di tante altre nazionali, ha iniziato la sua vera crescita da poco e con piccoli mezzi a disposizione.
Poi ci sono anche gli aspetti da migliorare, per carità. Alcune individualità elvetiche hanno deluso. La stella del Barcellona Sydney Schertenleib in primis. Alcune sbavature qua e là avrebbero potuto portare a un epilogo diverso. Ma al di là di questo, che cos’altro si può rimproverare alla Svizzera? Per la prima volta ai quarti di finale, affrontati senza paura di fronte alla selezione più forte in circolazione. Dimostrando che con unità e determinazione, e un supporto stratosferico, si possono scrivere storie bellissime. Come quelle che piacciono a Pia. Sundhage che, chi lo sa, potrebbe accompagnare le rossocrociate verso il Mondiale brasiliano, trasformando ancora una volta i sogni in realtà.