Quella giusta tazza di tè

La Giornata Internazionale del Tè, celebrata lo scorso 21 maggio, rappresenta un’opportunità significativa per riflettere su una delle bevande più consumate al mondo, seconda solo all’acqua. Oltre al suo valore culturale e ai noti benefici per la salute, il tè solleva oggi questioni cruciali legate alla sostenibilità sociale ed economica, in particolare per quanto riguarda le condizioni di lavoro nelle piantagioni e il rispetto dei diritti umani.
Negli ultimi anni, numerose inchieste e rapporti indipendenti hanno messo in luce gravi violazioni nei confronti dei lavoratori impiegati nella produzione del tè. Aziende di rilievo come Unilever, Tata Global Beverages e vari produttori locali sono state accusate di sfruttamento del lavoro minorile, lavoro forzato e ambienti lavorativi pericolosi. Le aree maggiormente coinvolte comprendono India, Sri Lanka e altre regioni asiatiche, dove la manodopera, spesso priva di tutele, lavora per salari irrisori in condizioni disumane.
Uno studio condotto da organizzazioni del settore ha rivelato che circa il 30% delle piantagioni di tè in India non rispetta gli standard minimi di sicurezza. I lavoratori, in molti casi, sono esposti a pesticidi senza protezioni adeguate, alloggiati in strutture precarie e privi di accesso a servizi sanitari essenziali. In Sri Lanka, le famiglie che vivono nelle piantagioni lamentano la mancanza di contratti regolari, salari troppo bassi e un generale abbandono da parte delle autorità locali e delle stesse aziende.
Le imprese coinvolte, pur dichiarando l’intenzione di migliorare le condizioni di lavoro, si trovano sotto crescente pressione da parte di attivisti, consumatori e investitori. Alcune, come Unilever, hanno adottato politiche di approvvigionamento responsabile, impegnandosi a rifornirsi esclusivamente da piantagioni certificate secondo standard internazionali come Fair Trade o Rainforest Alliance. Tuttavia, nonostante tali iniziative, numerosi osservatori segnalano che queste certificazioni, seppur utili, non bastano a garantire il rispetto sistemico dei diritti umani lungo tutta la catena di approvvigionamento.
Il nodo cruciale resta la frammentazione della filiera: molte piantagioni sono gestite da intermediari, rendendo difficile per le aziende monitorare efficacemente ciò che accade nei livelli più remoti della produzione. Le certificazioni coprono solo una parte del sistema, lasciando ampi spazi non controllati dove si concentrano le peggiori forme di sfruttamento.
Per questo motivo è fondamentale un’azione congiunta tra aziende, governi e consumatori. I consumatori, in particolare, giocano un ruolo determinante: scegliere tè proveniente da filiere etiche significa premiare le imprese virtuose e contribuire attivamente al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. È necessario sviluppare una cultura del consumo consapevole, in cui la qualità del prodotto non sia disgiunta dal rispetto della dignità umana.
La Giornata Internazionale del Tè del 2025 si spera sia stata l’occasione per una riflessione più profonda sulla sostenibilità del tè, non solo in termini ambientali, ma anche sociali. Le aziende, i governi e i consumatori devono collaborare per garantire che il tè che consumiamo sia prodotto in modo etico, rispettando i diritti umani di coloro che sono coinvolti nella produzione. L’impegno verso una filiera più trasparente e responsabile non è solo un imperativo, ma anche una scelta strategica per le aziende che desiderano prosperare in un mercato globale sempre più attento alle questioni sociali e ambientali. Solo attraverso azioni concrete e misure trasparenti sarà possibile garantire che il tè, una bevanda di tradizione e cultura globale, diventi anche simbolo di sostenibilità.