Questa volta il tennis ha davvero voltato pagina

Una rivalità destinata ad entrare nella leggenda dello sport non nasce mai per caso. Non solo nel tennis. È figlia di momenti o episodi ben precisi. Non basta affrontare cento volte lo stesso avversario per darle vita. Nel mondo della racchetta e delle palline gialle ci sono state partite anche più belle della splendida finale del Roland Garros, ma non sono entrate di diritto nella storia. Una rivalità che modifica e foraggia l’evoluzione di una disciplina ha sempre un punto di partenza. Per rimanere in ambito tennistico e senza risalire a un passato troppo lontano, il dualismo che va oltre lo sport tra Borg e McEnroe nasce durante quel tie-break del 1980 a Wimbledon vinto dall’americano per 16-14. La partita però la dominò lo svedese. L’emulazione tra Federer e Nadal non è cresciuta a dismisura solo per l’opposizione di stile tra i due. Ha vissuto diverse tappe, ma - ahinoi - ha toccato livelli siderali quando nel 2008 per la prima volta il maiorchino, su un campo ormai avvolto dalle tenebre, riuscì a battere il basilese in finale a Church Road, impedendo a King Roger di conquistare il suo sesto Wimbledon consecutivo.
Dopo anni in cui andava cercando gli eredi dei «big three», il tennis oggi ha girato definitivamente pagina. Dopo le avvisaglie degli ultimi anni, quella tra Alcaraz e Sinner è diventata un’opposizione destinata a scrivere le nuove pagine della disciplina. Per lo svolgimento, per la durata, per il pathos e la sua drammaticità, la finale di domenica rimarrà scolpita nella pietra del tennis. Rappresenta un punto di partenza e - al tempo stesso - mette la parola fine ad un’era durata più di vent’anni. Un’epoca indimenticabile, ma un rinnovamento diventava sempre più necessario. Un rinnovamento che oggi ha il volto di un focoso ragazzo di Murcia e di un altoatesino robotico e calcolatore solo in apparenza. Ci sono tutti gli ingredienti per considerare l’atto conclusivo alla Porte d’Auteuil come il nuovo anno zero del tennis, grazie a due fenomeni capaci di darsele di santa ragione per più di cinque ore.
Carlitos ha confermato di avere un mentale più resistente dell’acciaio. Roba da far studiare a sociologi e psicologi. Si è trovato in svantaggio di due set, ha dovuto salvare tre match-point di fila, ha accettato senza batter ciglio il break nel quinto set quando già stava assaporando il dolce gusto del trionfo. Questione di resilienza, direbbe qualcuno. Dal canto suo Sinner non esce ridimensionato dalla finale, nonostante l’occasione sprecata. Anzi. Dopo i tre mesi di sospensione a causa della vicenda «clostebol», nelle gambe e nella mente aveva solo il Masters 1000 di Roma. Aver raggiunto la finale a Parigi e averla giocata in questo modo non può che infondere ulteriore fiducia al numero 1 al mondo. Mettiamoci comodi, ci sarà da divertirsi ancora tanto.