Il commento

Resilienza economica con la via del globale

C’è da rimanere stupiti, in senso positivo, per come la gran parte delle economie stia mostrando resilienza
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
25.10.2025 06:00

C’è da rimanere stupiti, in senso positivo, per come la gran parte delle economie stia mostrando resilienza. In un quadro internazionale molto difficile, segnato ampiamente da tensioni geopolitiche, guerre, dazi americani, la maggioranza delle economie sta reagendo e sta limitando il rallentamento della crescita. In un tale contesto, una recessione complessiva potrebbe essere uno sbocco naturale e invece le maggiori istituzioni economiche sono concordi nel prevedere che la perdita di velocità non diventerà caduta libera. Ovviamente, con tensioni geopolitiche minori, fine delle guerre, dazi americani in discesa, le cose potrebbero andare molto meglio. Ciò è indubbio e resta un auspicio fondamentale. Ma è utile anche vedere la misura e le ragioni dell’attuale resilienza. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), la crescita globale dovrebbe essere leggermente al di sopra del 3% sia quest’anno sia il prossimo. Il rallentamento dunque rispetto al triennio 2022-24 dovrebbe essere contenuto. Le economie avanzate dovrebbero crescere tra l’1,5% e il 2%; gli USA dovrebbero risentire più di altri dei loro stessi dazi, ma si attesterebbero comunque attorno al 2%. Le economie emergenti, che per definizione devono conquistare più terreno, pure dovrebbero riuscire a limitare il rallentamento, ponendosi attorno al 4% di crescita. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) fa previsioni quasi identiche a quelle dell’FMI, solo indica per l’anno prossimo una crescita mondiale del 2,9%. La tenuta prevista anche per il 2026 è molto sorprendente, sempre in senso positivo, visto che il grosso del rallentamento degli scambi mondiali (export-import) secondo l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) dovrebbe esserci proprio l’anno prossimo, considerando che quest’anno molte imprese hanno fatto scorte, anticipando l’entrata in vigore dei dazi USA.

O le maggiori istituzioni economiche stanno sbagliando tutto (cosa improbabile) oppure, pur giudicando negativamente geopolitica e dazi, vedono comunque segnali precisi di resilienza (cosa più probabile). Assumendo questa seconda ipotesi, che pare più ragionevole e che è d’altronde coerente con i dati a consuntivo sulla crescita nei primi due trimestri 2025, la domanda è da dove viene questa resilienza. Una risposta completa richiede naturalmente una trattazione molto ampia, ma almeno alcuni capitoli si possono qui richiamare, in sintesi. La tanto vituperata globalizzazione – parliamo qui di quella economica, molto concreta, mentre dell’esistenza reale di quella politica è lecito dubitare – ha in realtà consentito negli scorsi decenni l’abbattimento di un gran numero di barriere appunto economiche, un positivo sviluppo del libero scambio, il mantenimento di una buona media di crescita per la grande maggioranza delle economie.

I vantaggi della globalizzazione economica sono stati chiaramente superiori agli svantaggi (ora con la linea antiglobale di Trump non si sta certo meglio). Grazie alla soddisfacente media di crescita economica, sono state accumulate risorse che adesso sono preziose, perché permettono a molte imprese e a molti individui di sostenere a livelli almeno ragionevoli gli investimenti e i consumi, in attesa di tempi migliori. Un gran numero di imprese, inoltre, ha imparato bene ad agire in contesti di scambi economici ampi, con maggiori possibilità di diversificazione sia per i prodotti sia per i mercati. Ora che il protezionismo trumpiano limita di fatto una parte degli scambi, molte aziende non pensano solo a non perdere quote sul mercato USA ma anche a sviluppare, o a creare dove non ci sono, le proprie attività su molti altri mercati. È uno schema di reazione più che mai opportuno, che contribuisce alla resilienza delle economie e che dovrebbe essere adottato maggiormente anche a livello di Stati: va bene difendersi dai danni causati dai dazi USA, ma nel contempo è ancor più necessario di prima continuare ad ampliare gli accordi di libero scambio con il resto del mondo.