Situazioni, momenti, figure

Ricordando Italo Calvino

Fra pochi giorni sarà il centenario della sua nascita: è stato fra i narratori più letti e tradotti, in oltre cinquanta lingue, e lo rimane
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
06.10.2023 06:00

Fra pochi giorni sarà il centenario della sua nascita. È stato fra i narratori più letti e tradotti, in oltre cinquanta lingue, e lo rimane. È ancora una fonte di studi e di rievocazioni, come avverrà anche al LAC a fine ottobre per Lugano Musica, con Stefano Prandi e Giuliano Bellorini, docenti all’USI, che commenteranno alcune canzoni con testi di Calvino musicate da Sergio Liberovici. Fra fiabesco e realismo crudo ha segnato la letteratura moderna. Non gli hanno dato il Nobel forse pesando su di lui un trascorso con Che Guevara, quando ne scrisse e fece storcere il naso a qualcuno. Come era toccato a Ungaretti forse per la poesia dedicata al duce all’inizio del fascismo. Calvino era nato a Cuba da famiglia italiana e ci aveva abitato a lungo. Il ritorno in Italia fu la sua ascesa. In anni giovanili d’estate qualche volta andavo a trovarlo nella sua casa di Roccamare. Riposa là, a Castiglione della Pescaia, sospeso a mezza collina davanti al mare etrusco, in una tomba spoglia e appartata ormai avvolta da frasche di rosmarino. Ebbi il privilegio di un’intervista che, pubblicata con un’acquaforte di Nag Arnoldi, avrebbe fruttato per la raccolta rotaryana di fondi contro la poliomieliete. Mentre parlavamo si sentiva leggero il canto del mare, appena oltre la pineta, di fronte alla veranda. Parlò di Borges, di Leopardi e di Paul Valéry. Li apprezzava molto. Ne era affascinato. In comune con loro aveva il piacere delle idee. Riteneva che ce ne fossero sempre meno e sempre meno intelligenti. Come loro aveva una mente analitica. Sapeva inventare ma sempre sul filo della ragione. Era essenziale, nei concetti e nelle parole. Come loro amava il labirinto e il metafisico, l’infinito e l’enigma. Pubblicando quell’intervista dissi che essere sepolti davanti all’acqua è un richiamo alla vita, ai passaggi di eventi, alla continuità nella mutevolezza delle forme; la neve e il mare sono davvero la stessa cosa. Scrissi una volta dei Cimiteri sull’acqua, di Rimbaud e di Paul Valèry, del suo «Cimetière marin» a Sète e Italo Calvino, che ammirava il poeta francese, nell’ intervista aveva parlato di lui e di Leopardi, che riposa davanti al golfo di Napoli. Nella conversazione disse che il mare per quegli artisti era una porta per l’Infinito e forse davvero l’ultima porta dell’Estetica e dell’Innocenza. Voglio riportarne qui alcuni frammenti significativi.

Perché divenne scrittore? Uno diventa scrittore quando non sa fare niente di meglio; io da giovane non ero molto portato per le attività pratiche, non riuscivo bene negli sport, non avevo talento per gli affari e anche negli studi sembravo piuttosto mediocre e quindi per esclusione uno finisce per fare lo scrittore. Lo scrittore è sempre, come si è detto di Flaubert, l’idiota della famiglia.

Per Flaubert, l’Homme plume, scrivere era un lavoro arduo; tuttavia c’è chi sostiene che scrivere è difficilmente semplice. In che cosa consiste la difficoltà dello scrivere? Ci sono tante persone per le quali scrivere è molto facile, c’è gente che riempie pagine e pagine con poca fatica. Per me non è così. Io ho sempre difficoltà ad esprimermi, quando parlo e quando scrivo e devo sempre lasciare che si cristallizzi qualche cosa, una forma, una costruzione, perché c’è sempre una grande resistenza delle parole. Quando ci si mette a scrivere non si sa bene cosa si scrive, l’espressione precisa non viene mai di getto; io credo poco alle cose di getto, credo poco alla spontaneità e all’ispirazione. La pagina che dà impressione di facilità è quella più costruita. Lei ha scelto la strada della fantasia. Cosa è la fantasia? Si può dire che è un modo di organizzare le immagini. Tutti pensiamo, comunichiamo, viviamo attraverso immagini e ci sono vari modi di organizzare queste immagini. Secondo Lei, che cosa manca all’uomo contemporaneo? Proprio non lo so. Tranquillità, possibilità di avere davanti un orizzonte in cui pensare di potere agire. Manca un po’ il mondo: un mondo sul quale si possa progettare un sia pur minima azione. Il fatto di non poter progettare nulla e di potere capire molto poco di quello che sta succedendo mi pesa, mi fa mancare qualcosa. È un po’ come col danaro: non sappiamo mai quanto ne abbiamo in tasca, con questa inflazione che toglie valore a tutto. Ed è così un po’ anche nelle cose della vita. Quindi mi manca un contesto sociale, una società di fronte alla quale pormi magari in una posizione autonoma. Ma oggi non si può nemmeno quello, perché è tutto sulle sabbie mobili.